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Per le strade che accompagnano San Vito

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Un punto di vista colorato tra i vicoli della città turrita, poetico che si ravviva nel flusso della tradizione e nel sole che tramonta sulla riva del mare folgorando con il suo raggio verde chi passeggia sul litorale, sensibile ed empatico perché crea un legame indissolubile tra la gente, la città, la sua storia e chi ne resta rapito.

Forio è un racconto che scorre lungo le strade e le rive secolari del tempo. Ed è forse il mese di giugno il più adatto per visitare questa «terra di mezzo», posta tra i promontori di Punta Caruso – conosciuta con il nome di Zaro – e Punta Imperatore. Si estende per 12,85 chilometri quadrati proprio alle pendici del Monte Epomeo - che qui è meno ripido di quanto sia sul versante di Casamicciola - guardiano immortale su questa parte dell’isola. Il nome della seconda città isolana per importanza ed estensione, racchiude tutto il fascino delle influenze che l’hanno animata e secondo alcuni studiosi deriverebbe da Fiorio, a simboleggiare il fiorire dopo la distruzione di altri Casali. Secondo altri, discende dal greco phoròs, ossia «fertile» oppure dal più probabile chorìon cioè «villaggio». Il dialetto dalla difficile fonetica che passa da bocca a orecchio soddisfa la curiosità di conoscenza e ne descrive una regione semplicemente magnifica. È Forio con il suo sapore orientale che conserva un centro storico unico nel suo genere con le tipiche viuzze, i monumenti, le chiese ricche di storia e le torri di avvistamento. È stata meta e centro internazionale di uomini dello spettacolo e della cultura, da Luchino Visconti a Pier Paolo Pasolini passando per Elsa Morante e Alberto Moravia, Renato Guttuso, Auden e Pablo Neruda. Prima ancora scivola nei racconti dell’Abbè Alphonse Kannengiesser che nel suo «Souvenirs d’Italie» del 1886 – nella traduzione dall’edizione francese di Giovanni Castagna - descrive il fermento durante la Festa di San Vito e il colpo d’occhio della «folla immensa e compatta di isolani» che inonda le strade che «sembrano stretti corridoi e hanno appena tre metri di larghezza». Ed è tra queste stradine suggestive che la vitalità sbiancata dalla frenesia del mondo indossa sfumature da gala e si riappropria del calore e della bellezza che le sono propri. Nell’incredibile capacità che possiede coinvolge il viaggiatore che diventa, sin da subito, attore a pieno titolo di un percorso che difficilmente svanirà dalla sua memoria. Il rito folclorico della processione celebra il patrono della città, con una delle due statue del santo, quella lignea, posta a sinistra dell’altare nella Basilica a lui dedicata e definita «Parrocchia» in un documento del 1306 custodito in Vaticano. Portata a spalla dai devoti, l’esodo di figure umane si snoda e si allunga per le vie del paese e segna l’inizio della stagione estiva. L’altra statua, in argento, purtroppo sottochiave anche a causa di alcuni tentativi di furto, arrivò a Forio nel 1787 ed è esposta al pubblico solo durante le cerimonie. Fu ideata dallo scultore Giuseppe Sammartino e realizzata dagli orefici Gennaro e Giuseppe Del Giudice. Il culto del venerato «san Vito Martire» passa per la Chiesa Cattolica e si amplia fino a quella ortodossa a dimostrazione che, in fondo, pure nell’adorazione dei santi, le religioni uniscono e non dividono. Protettore di danzatori e pescatori Vito il santo nacque in Sicilia per l’esattezza a Mazara Del Vallo nel III secolo. Giovane e fervente cristiano subì il martirio per la propria fede nel 303 per opera dell’imperatore Diocleziano che lo fece imprigionare e uccidere assieme al precettore Modesto e alla nutrice Crescenzia. Il culto si sviluppa dall’Italia, in altre località, sino a Praga nella cui maestosa cattedrale forse sono conservati alcuni resti, ma le salme dei tre si presume siano sepolte presso la città di Marigliano, identificata dagli studiosi come l’antico Marianus. Ed è il 15 giugno, il giorno della morte del giovane Vito, che crea e costituisce il nesso nel sentimento di devozione e fa di una «festa di paese», con giostre, bancarelle e musica, una ricorrenza diffusa in molti luoghi del sud dell’Italia, per mezzo della quale si trasmette il messaggio di salvezza. È questa la relazione tra san Vito e Forio, il cui impulso incorruttibile fonda le proprie radici nel tempo. I festeggiamenti dal 10 al 18 giugno, con ben quattro giorni marcati da momenti religiosi intensi, si confondono nella fiera popolare nel centro cittadino e lungo il litorale da cui possono scorgersi rientranze e sporgenze che, di nuovo, l’Abbè Alphonse Kannengiesser descrive come «natura, così ammirevole, che improvvisamente prende un aspetto selvaggio e quasi terribile». L’attaccamento a san Vito, a Forio, calca la storia in una relazione secolare. Già nel Medioevo, infatti, esisteva un tempietto nella plaga di Citara. A causa delle invasioni saracene, fu poi edificato nella parte alta del «Casale di Forio». La leggenda narra che fu proprio il santo bambino a salvare l’economia del paese nel XIX secolo. Basata sulla coltura della vite, in quel periodo infieriva la terribile peronospora che fu causa della scarsità delle vendemmie. Un giorno una nave proveniente dalla Sicilia, con un carico di zolfo, ormeggiò nel porto. L’equipaggio sostenne di essere stato mandato a Forio da un giovinetto che, dato in pegno il proprio anello, chiese loro di guarire le viti distribuendo il carico prezioso. Ovviamente la cura diede i risultati sperati e l’immaginazione popolare identificò in quel giovane il san Vito «siciliano». Fino al 1959 la festa si teneva tra la prima e seconda settimana di agosto, e soltanto nel 1966 la data fu cambiata nel giorno della morte del santo, il 15 giugno. È al tramontare di questa giornata carica di emozione che l’anima della festa, anche grazie al comitato che ha l’onere di preparare i momenti principali, rivive nella rappresentazione del giovane, che su una barca, accompagnato dal maestro Modesto e dalla nutrice Crescenzia, sbarca a Forio. Salvandola. Dando vita ad un nuovo giro di vite.