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«Andrea e le fate», un atto d’amore per Ischia

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L’ultimo libro di Pino Macrì

 

È stato presentato l’altra sera, presso la sala convegni dell’hotel Re Ferdinando di Ischia, l’ultimo libro di racconti di Pino Macrì intitolato «Andrea e le fate» (Massa editore, euro 18,00), il nuovo straordinario «atto d’amore» per la sua terra, come lo ha definito lo stesso autore che, dopo il volume «’O Calabbrese», nell’ultimo periodo ha collezionato un gran numero di riconoscimenti di livello nazionale, per la sua apprezzatissima vena letteraria. All’incontro, coordinato da Ciro Cenatiempo, e impreziosito dalla straordinaria performance teatrale degli attori Milena Cassano e Leonardo Bilardi (hanno interpretato alcuni stralci dei capitoli con eccezionale efficacia), sono intervenuti Gina Menegazzi e Pompeo Arienzo che hanno brillantemente sottolineato alcuni aspetti di un lavoro che, di fatto, fa leva sulla memoria dell’attività venatoria, da intendere come «un quotidiano incontro e scontro con la natura e una ricorrente – ricorda Macrì - ansia popolare, un sentimento viscerale che, per molte generazioni, è stata soprattutto una passione di necessità».

Alla serata sono intervenuti il sindaco di Ischia, Enzo Ferrandino con il consigliere Carmen Criscuolo e, tra gli altri, Andrea D’Ambra, ispiratore del racconto che dà il titolo al volume; e Giovanni Meneghini, che campeggia sulla copertina del libro in una foto che lo ritrae – all’età di tre anni – con un trionfale carniere di selvaggina.

«Parlo di piccole isole, di piccole terre. Di Ischia e di Capri, di Procida e di Ventotene, di Ustica, di Lampedusa, di Palmarola, di Santo Stefano, di Marettimo, di Vivara, in un contesto – ricorda ancora Pino Macrì - anche storico oltre che mnemonico, che evoca i periodi della fame delle comunità che era possibile sconfiggere grazie alla caccia: a Capri, senza le quaglie di entrata, si poteva pure morire! In ogni caso il semplice pretino, e ancor più il vescovo, aspettava ed esorcizzava, scongiurava e pregava, recitava solenni messe o potenti giaculatorie per invocare il soffio della corrente giusta, lo scirocco, il vento caldo che favoriva la migrazione primaverile e, dono divino, portava tante quaglie africane sulle “parate”, scongiurando così violenti disordini, nuove tasse, scomuniche e fame nera. Ma nel libro c’è tanto altro ancora, spaziando da fine '700 ai giorni nostri.

E quindi la caccia, l'ossessione e la malia di tante stagioni che, puntuali e viscerali, si sono succedute tipo “sabato del villaggio”, a questo punto è diventata solo l'idea, solo il mezzo, solo il pretesto, appunto. In modo limpido, mi è chiaro che la radice di tutto è, e rimane la mia terra. Personaggi ed emozioni, nei racconti, tutto parla della mia terra. Tutto parla della mia isola.

Questo il vero filo conduttore, questo, anche stavolta – conclude Macrì - è quello che mi rimarrà dentro. Spero che leggendo i racconti, i lettori possano vivere un'emozione anche piccola, un flashback ancestrale, un cimelio di memoria ancora presente nel nostro cuore “eroico”, un po' semplice e un po' complicato. Un cuore sempre in bilico, tra terra e mare. Dove proprio il mare traccia il confine che i più giurano di voler attraversare ma che, in realtà, nessuno di noi vorrebbe varcare».

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