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Nelle chiese ischitane l’impronta dei migliori artisti della Napoli angioina

Storia
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Continua a offrire materiale prezioso per la ricostruzione di capitoli ancora oscuri o poco conosciuti della storia ischitana. Così il vasto patrimonio documentario dell’Antoniana ha avuto un ruolo fondamentale nella ricerca di VALENTINA CURCI per la sua tesi di laurea su “LA COMMITTENZA ARTISTICA IN ETA’ ANGIOINA SULL’ISOLA D’ISCHIA”, discussa di recente all’Università di Napoli “Federico II”, relatore il professore di Storia Medievale Francesco Aceto.

E decisivo è stato in particolare un documento di cui finora era stato ignorato il contenuto e ancor più il valore. Ventisei pagine scritte e quattro bianche di una corposa lettera di autore anonimo, indirizzata al “Sig. Tenente Colonnello N.N.” quasi due secoli fa. E da allora consultata forse per la prima volta compiutamente solo dalla giovane ricercatrice ischitana.
Priva di un riferimento cronologico, per arrivare all’anno 1824 è stato necessario contestualizzare la lettera in base al suo contenuto e ad alcuni documenti ufficiali con date certe. La complessa ricerca è stata illustrata dalla direttrice dell’Antoniana, LUCIA ANNICELLI, che ha rivelato come la lettera sia stata scritta da un nobile ischitano per protesta contro alcuni provvedimenti ritenuti penalizzanti, se non addirittura punitivi, per l’aristocrazia locale. “Non siate prevenuti contro Ischia come se fosse un paesotto o un casale”, scriveva l’anonimo autore di cui, nonostante i tentativi, non è stato possibile risalire all’identità.

All’origine della contestazione c’era un decreto reale, che destinava alla custodia dell’ergastolo appena aperto sul Castello Aragonese, ormai disabitato, una compagnia militare di 103 uomini. L’autore non poteva accettare che nella selezione dei militari non fosse stata rispettata la differenza tra aristocratici e popolani e la considerava un vero e proprio affronto alla nobiltà di cui faceva parte, pur essendo egli stesso un militare. Perciò usò toni piuttosto aspri e duri nella missiva inviata al tenente, la cui identità Valentina Curci è riuscita faticosamente a ricostruire, individuandola in Gennaro Mariello, tenente, dal 1822 comandante del forte di Ischia.
A sostegno della sua tesi e dell’illustre lignaggio dei nobili ischitani, l’anonimo autore inserì nella lettera un vero e proprio TRATTATELLO sulla NOBILTA’ LOCALE fin dalle epoche più remote. Che si è rivelato una inaspettata fonte di notizie utili per Valentina Curci, interessata a individuare le famiglie più potenti e in vista del PERIODO ANGIOINO come probabili committenti delle opere d’arte realizzate sull’isola a quell’epoca.

Dopo l’evento dirompente dell’eruzione del 1301, che cambiò l’aspetto di una parte dell’isola e il corso della sua storia, la popolazione si ristabilì soprattutto sull’isolotto fortificato e in parte nel borgo antistante sull’isola maggiore. E gli aristocratici non fecero eccezione. Sulla rocca furono trasferiti anche l’episcopio e la cattedrale, che una bolla del 1306 indica come già esistente. La costruzione della nuova cattedrale gotica richiese comunque alcuni anni e prima che fosse perfettamente funzionante fu utilizzata quella che oggi individuiamo come cripta, ma che era una chiesa preesistente. E sia nella chiesa inferiore, la cripta, sia nella cattedrale superiore, come anche nella chiesa agostiniana di Santa Maria della Scala nel borgo (l’attuale Cattedrale di Ischia Ponte), i nobili si fecero costruire delle cappelle gentilizie a suggello del loro ruolo sociale. Fu così per i BULGARO, gli ASSANTE, i TALIERCIO e i COSSA, i più potenti di tutti.

Proprio nei primi decenni del Trecento, dal conflitto tra angioini e aragonesi per il controllo di Napoli e del regno scaturì una contrapposizione tra le famiglie aristocratiche isolane schierate con i due contendenti. I COSSA guidavano il gruppo favorevole agli ARAGONESI, mentre l’alleanza pro ANGIOINI era capeggiata dai TALIERCIO. Questi e gli altri loro alleati furono condannati nel 1323 a lasciare la Città d’Ischia e ad essere cancellati dai libri della nobiltà, per cui finirono nell’oblio. E così si perse anche il ricordo del contributo che avevano dato come committenti di importanti opere d’arte nella cappella di Santa Caterina nella Cattedrale del Castello e in Santa Maria della Scala, dove avevano una cappella dedicata alla Vergine e a San Nicola da Tolentino, per abbellire la quale avevano ceduto possedimenti terrieri in varie zone dell’isola grande. E parti dell’imponente monumento funebre eretto nella cappella di famiglia nella cattedrale sono oggi esposte presso il MUSEO DIOCESANO di Ischia Ponte.

Comandanti di navi, ammiragli, protontini: i nobili isolani più in vista ricoprivano ruoli di primo piano nel regno, tramandati di padre in figlio e sempre legati al mare. Per questi motivi frequentavano Napoli e la corte, dove condividevano con la nobiltà cittadina la conoscenza degli artisti più in voga nella capitale, dei cui servigi si servivano anch’essi per abbellire le proprietà di famiglia sull’isola. Dunque, come ha sottolineato più volte Valentina Curci, la committenza isolana non fu da meno di quella cittadina e si lasciò coinvolgere dalle mode e dalle tendenze artistiche del tempo. Come dimostrano le opere giunte fino a noi.

Nell’affresco che raffigura “L’Annunciazione ai Pastori”, nella CAPPELLA BULGARO nella cripta sul Castello, sono state evidenziate le somiglianze con il “Noli me tangere” nella Cappella Brancaccio di San Domenico Maggiore ad opera di PIETRO CAVALLINI. E una “Madonna con Bambino e Santi” si collega alla “Madonna in trono tra i Santi Gennaro e Restituta” di LELLO DA ORVIETO nella Cappella di Santa Restituta nel Duomo di Napoli.
Le stesse similitudini si riscontrano in quanto resta delle sculture trecentesche isolane, perlopiù parti di monumenti funerari della Cattedrale, rispetto a opere visibili nelle chiese della capitale. Le colonne e le cariatidi che compongono il fonte battesimale nell’attuale Cattedrale di Ischia Ponte, provenienti dal sontuoso MONUMENTO funerario di GIOVANNI COSSA, ripropongono le caratteristiche delle tombe a baldacchino in voga tra i nobili e gli alti prelati di Napoli, a cui lavorarono TINO DA CAMAINO e i suoi allievi. In particolare, il monumento di Giovanna d’Angiò-Durazzo e Roberto d’Artois del 1399 in San Lorenzo Maggiore.

E il bassorilievo della “Madonna del Granato” inserita nell’altare della chiesa dell’Arciconfraternita di Santa Maria di Costantinopoli che, con i due tondi posti ai lati dell’altare della Cappella del Crocifisso nella Chiesa del Soccorso, proviene dalla Cappella Assante sul Castello, ha caratteristiche molto simili ai modelli di Tino da Camaino.
E lo studio approfondito dello stile, dei materiali, di ogni dettaglio delle opere isolane di epoca angioina che Curci ha condotto per la sua tesi, l’ha portata a cercare similitudini e evidenze comuni con opere anche in altre zone del Mezzogiorno. Così, le parti del monumento di ANTONIO TALIERCIO, custodite nel Museo Diocesano, le hanno suggerito un confronto con il sarcofago del Monumento Sanseverino nel Museo Statale di Mileto, in Calabria.
Un complesso e paziente lavoro di ricerca, di confronto e di approfondimento delle fonti storiche e delle opere d’arte trecentesche, quello condotto da Curci, che ha confermato l’alto livello della committenza isolana, per nulla inferiore a quella dell’alta aristocrazia del centro del regno. Dunque, altri importanti tasselli si aggiungono alla conoscenza del patrimonio artistico ischitano. E la tesi di Valentina Curci da cui proviene questo contributo è ora a disposizione del pubblico della Biblioteca Antoniana a cui l’autrice ne ha donato una copia.

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