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Nobiltà napoletana: “Pupetto Di Sirignano”

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Francesco Caravita principe di Sirignano internazionalmente conosciuto come Pupetto, è stato senza dubbio uno dei personaggi più in vista nella Napoli del 900.
Pupetto oltre ad essere stato uno degli ultimi nobili napoletani autentici in circolazione, ha rappresentato l’interprete più vero, più trasparente, più genuino di un certo modo di essere meridionale in generale e napoletano in particolare.

E come in tutte le sue manifestazioni, ogni suo pensiero e modo di fare, era portato all’eccesso.

Egli rifiutava razionalmente la sistematicità e l’impegno del lavoro, ma possedeva a dismisura tutte quelle qualità che hanno fatto grandi nei secoli i napoletani: la bontà, la fantasia, l’intelligenza, l’arguzia, l’amore per le cose belle, la genuina solidarietà verso il prossimo, la negazione della ripetitività, la ricerca del nuovo e dello sconosciuto.

Una vita appassionante, vissuta con trasporto verso tutte le cose belle e fuori di ogni dubbio senza i rimpianti che spesso accompagnano tutti coloro che si danno precise regole di comportamento e di2j0nwg2 azione.

La famiglia di Pupetto, di antica origine spagnola, presenta nella corona della casata non una spada bensì una testa di elefante, rappresenta cioè una nobiltà di toga e non di armi.

Ricchissimo, proprietario di vaste tenute in provincia di Avellino, il principe di Sirignano, nato a Napoli nel 1908, trascorse un’adolescenza e una giovinezza brillantissime, sempre in giro per il mondo, ospite di famiglie patrizie e di club elitari.

Pupetto cresce da bambino pestifero, poi ragazzo terribile, adolescente scapestrato e giovane spericolato, sempre attorniato da un pollaio di donne: madre, nonna, cinque zie paterne, due zie materne, tre sorelle, rinforzate da un esercito di governanti, cameriere e guardarobiere.
La prima esperienza sessuale Pupetto l’aveva fatta in «casa»: era stata Adelaide una cameriera della famiglia Sirignano di oltre quarant’anni a svezzare il dodicenne principino, che svelò il suo vizio così precoce tra la meraviglia della mamma, l’orgoglio dello zio paterno e l’accondiscendenza del confessore.

Nel 1929 detenne il primato mondiale per il numero delle corse automobilistiche da lui vinte.

Nel 1933, però, l’aristocrazia napoletana individuò in lui il detentore di un altro tipo di primato: quello relativo al più veloce matrimonio e al più rapido divorzio.
Infatti, trovandosi a bordo di un transatlantico diretto in America, conobbe una diciottenne miliardaria che si innamorò di lui. Allo sbarco a New York, il principe di Sirignano riuscì, nel giro di ventiquattr’ore, ad ottenere la cittadinanza americana e a sposare la ragazza. Ma quattro giorni dopo entrambi gli sposi chiedevano, a un tribunale della stessa New York, il divorzio per incompatibilità di carattere. Sposati per scherzo, non fu uno scherzo cercare di divorziare o annullare il matrimonio. Consultati gli avvocati si decise di giocare la carta dell’impotenza dello sposo; per cui mentre la sposina si rese irreperibile per qualche settimana, il povero Pupetto dovette subire lo sdegno di tutti gli Italiani d’America, che si sentivano offesi nella loro virilità, sapendo che un loro connazionale, per giunta principe, aveva fallito la prima notte di nozze.

Egli è stato un protagonista del jet set internazionale nel periodo compreso tra le due guerre mondiali, in un momento in cui la spensieratezza era un obbligo per la gioventù dorata europea e nord-americana.
Il principe ha trascorso tutta la giovinezza tra viaggi, avventure ai limiti dell’eroismo, infiniti amori più o meno sconvolgenti, favolosi corteggiamenti e singolari incontri con le maggiori personalità del suo tempo da Caruso a Churchill, da Mussolini a Puccini, da Marconi a Croce, dal duca di Windsor a Spadaro, da Chevalier a Margaret e potremmo continuare quasi all’infinito con un elenco interminabile di nomi prestigiosi.
È stato musicista, cavallerizzo e cavaliere, pilota e ufficiale di guerra, viaggiatore instancabile, amante e soprattutto amato. Ha fatto con trasporto ed «impegno» mille cose piacevoli dal fare l’amore a pescare, cavalcare, guidare un’auto da corsa, comporre canzoni, stare con gli amici, viaggiare, giocare a carte, a golf, a tennis. Egli conosceva ogni giorno persone di spicco nel loro campo che impegnavano tutte le loro energie chi a far politica, chi a fare la guerra, chi a creare opere d’arte, chi a pensare di dover salvare l’umanità e nel frattempo Pupetto si interessava soltanto a divertirsi e ad avere come unico obiettivo quello di disimpegnarsi dalle noie grandi e piccole dell’esistenza.

Il suo desiderio più grande è stato che, sulla sua tomba, si sia potuta porre una lapide con il seguente epitaffio: “Non fece mai niente di importante nella vita, ma si divertì”.

Dopo oltre mille avventure, Pupetto decide che tutte le sue estati saranno trascorse a Capri, l’isola di sogno, di cui diventa, per molti anni, il presidente della locale azienda di turismo, l’ambasciatore e l’anfitrione.

Per un po’ di tempo Pupetto alloggiò nella villa del barone Fersen, un omosessuale alquanto originale, che si era fatto costruire una dimora principesca nella parte alta di Capri vicino a Villa Jovis, pretendendo che tutto il materiale necessario alla sua costruzione fosse trasportato con grande fatica soltanto da donne, escludendo tassativamente uomini e bestie da questo gravoso lavoro.

E fu proprio Capri ad incoronarlo imperatore.

Sul finire degli anni Cinquanta, il suo tavolino nella piazza di Capri, sua patria estiva, era una calamita per ragazze e ragazzine, signore e signorine: “Ciao Pupetto, che fai stasera?”. E lui, per dare a intendere che già aveva un impegno con un’altra donna: “Eh, purtroppo stasera mi tocca rimanere al Castello”. Si, denominava “il Castello” la splendida villa che possedeva sull’isola.

Fu soprattutto l’anfitrione dell’isola azzurra e il protagonista indiscusso e amato delle notti capresi, tanto da diventare l’ispirazione vivente, nel 1950, del famoso film di Totò “L’Imperatore di Capri “, per la regia di Luigi Comencini,

toto-prncipa-capri-2Nella pellicola, per buona parte girata sulla spiaggia di Marina Piccola, vengono irriverentemente motteggiati alcuni di quei personaggi stravaganti, emuli del dandysmo aristocratico-letterario, che elessero l’isola di Capri – per il suo essere recondita e “sconsacrata”- quale tempio dell’eccentrico e dell’eccessivo.

Così che da un Pupetto Turacciolo e da un Dado della Baggina (Galeazzo Benti) è facile risalire agli originali Principe Pupetto di Sirignano e Dado Ruspoli, entrambi animatori della dolce vita caprese di quegli stessi anni; la marchesa Casati Stampa di Soncino (amica di D’Annunzio), diviene allora, la baronessa von Krapfen (Marisa Merlini), che, non molto distante dal personaggio della realtà, vive all’ombra del culto della morte, circondata da bare, teschi ed altre funeree fattezze, cui Totò non esita di salutare con un “sentite condoglianze! ”

Ma Pupetto non smetteva mai di sbalordire.

Il principe di Sirignano non perdeva occasione per rivendicare la sua presunta discendenza da San Gennaro.

Sosteneva, peraltro, di possedere sul suo corpo le prove di quella parentela: una macchia rossa, lunga quattro o cinque centimetri e alta un centimetro, che compariva sulla sua nuca il 19 settembre di ogni anno, nel momento stesso in cui, nella Cattedrale di Napoli, si ripeteva il miracolo della liquefazione del sangue attribuito al santo patrono. Quella macchia rossa, a detta di Pupetto, indicava il posto preciso della nuca ove, nel 305 dopo Cristo, si abbatté la spada del legionario romano che decapitò San Gennaro.

Ma come si sarebbe articolata questa presunta nipotanza?

Secondo quanto Pupetto asseriva, tre secoli fa un suo avo e precisamente quel Tommaso Caravita, vissuto tra il 1670 e il 1744 che fu prima giudice della Vicaria e poi illustre autore di testi giuridici, sposò una certa signorina De Gennaro, napoletana benestante, che era considerata, da tutti, l’ultima discendente della “gens Juanuaria”.

“Che io sappia” – raccontò il principe– “da allora, da quando cioè i Caravita di Sirignano si imparentarono con i De Gennaro, iniziò a verificarsi un evento prodigioso. Sulla nuca dei maschi della nostra casata, nel giorno del miracolo di settembre compare una macchia rossa la quale, evidentemente, vuol rievocare la decapitazione del santo patrono di Napoli”.

Ritiratosi negli ultimi anni a vita privata Pupetto rimase un personaggio carismatico e l’ultimo simbolo di una Capri spensierata e folle, gaia e gaudente, peccaminosa e trasgressiva, che non esiste più se non nei ricordi e nei racconti di chi l’ha vissuta.