Ischia News ed Eventi - Ermanno Corsi (1939–2025), difensore dell’autonomia culturale e politica del giornalista

Ermanno Corsi (1939–2025), difensore dell’autonomia culturale e politica del giornalista

Cultura
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Ho conosciuto Ermanno Corsi – scomparso oggi a Napoli, a 86 anni, nella notte del solstizio d’estate, il giorno in cui le ore di luce si bilanciano con quelle della notte – oltre cinquant’anni fa.

Ero un ragazzo poco più che ventenne, ancora studente universitario in Economia e Commercio, proveniente da Ischia. Un’isola turistica, certo, ma sempre un “centro minore” per numero di abitanti, e per questo considerata periferica rispetto all’accesso all’Ordine dei Giornalisti e al contratto da “corrispondente”, il massimo ottenibile per un giornalista locale di provincia presso i grandi editori.

Mi iscrissi nel 1972 all’Ordine dei Giornalisti, elenco pubblicisti: l’unico a cui potevo accedere con la mia esperienza maturata, in particolare, ne Il Giornale d’Ischia, piccolo periodico stampato presso la tipografia Lampo di Sandro Torella a Romagnano e diretto da Franco Conte. Franco, pur essendo per me un Maestro, non volle mai iscriversi all’Ordine. Aveva lavorato al Corriere Canadese e riteneva, da anglosassone d’adozione, che non fosse necessario:
«Per la cultura inglese – mi diceva – il giornalismo lo hanno inventato loro: è chi scrive, chi sa scrivere. La patente del mestiere te la danno i lettori».

Questa impostazione anglosassone – “sacri i fatti, liberi i giudizi” – lasciò in me un’impronta indelebile. Ma io ero più realista del mio Maestro. L’Italia era (e in parte lo è ancora) un Paese di corporazioni, ciascuna impegnata nella difesa dei propri privilegi. All’epoca – taccio sul presente – l’Ordine dei Giornalisti era una corporazione dall’accesso difficile. Esistevano per legge due elenchi: una “serie A” e una “serie B”. La prima era quasi castale: vi accedevano figli di giornalisti, raccomandati della politica e dei grandi giornali con forti mezzi economici. I giornalisti senza “santi in paradiso” – fortunatamente tanti, segno dell’avanzamento democratico – dovevano partire dalla serie B, contando solo sul proprio talento e sulla propria tenacia.

A 22 anni entrai, dunque, nella magnifica sede del Circolo della Stampa in Villa Comunale come pubblicista, guardando con rispetto e timidezza i grandi giornalisti de Il Mattino e del Roma, i due quotidiani di Napoli. Fu allora che conobbi Ermanno Corsi, giovane cronista de Il Mattino, proprio nel periodo in cui l’Associazione Napoletana della Stampa – fondata nel 1910 – cominciava a rivendicare con forza l’autonomia culturale e politica dei giornalisti, opponendosi a una lottizzazione politica ormai asfissiante.

Ermanno guidava la corrente del “Rinnovamento”, in uno schieramento che oggi Bersani definirebbe “campo largo”. Io vi aderii. Da allora ho sempre avuto con lui un rapporto di stima e affetto, ma mai di confidenza. Anche in ambito sindacale, durante i miei anni da addetto stampa alla Provincia di Napoli (dal 1976 al 2002), ho collaborato con lui con cordialità, partecipando al dibattito sugli uffici stampa pubblici.

Ermanno è stato presidente sia dell’Associazione Napoletana della Stampa sia dell’Ordine dei Giornalisti della Campania. Ha difeso con coerenza e passione la dignità professionale dei giornalisti – di serie A e di serie B – e soprattutto la loro autonomia culturale e politica. Autonomia che ha praticato personalmente nei suoi anni a Il Mattino, in Rai, a La Repubblica e infine al Roma, che gli ha aperto le colonne per i suoi interventi critici negli ultimi anni di vita.

Corsi ha scritto opere significative sulla questione meridionale, sempre con l’anima di un figlio del Sud. La sua formazione laica iniziò con Nord e Sud, la rivista di Francesco Compagna. Il suo era un pensiero laico, un liberalismo di sinistra che emergeva con chiarezza in ogni suo scritto e in ogni suo intervento pubblico.

Lo saluto con la stessa impostazione culturale e politica che abbiamo condiviso, ringraziandolo per le attenzioni e l’umanità che mi ha riservato.

È stato un Collega. Nel pieno valore del termine.

G. M.