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Ricordo di un Amico

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È morto a 85 anni, passando dal sonno alla morte a Piacenza, dove viveva con la moglie e il figlio da oltre cinquant’anni, il Capitano Nicola Taliercio, mio amico di gioventù e di maturità, con il quale ho condiviso giorni felici e indimenticabili, sul filo dell’avventura e del piacere del confronto.

Tra me e lui c’era un’affinità profonda di sentimenti e valori, di piaceri e disillusioni, di opinioni politiche diverse o addirittura opposte, di risate condivise e lacrime versate per le tragedie che ci colpivano negli affetti. Eravamo amici.

Credo che il più bel libro mai scritto sull’amicizia sia Le braci di Sándor Márai. L’ho letto almeno due volte e sono rimasto colpito dal rapporto tra il vecchio Generale e il suo amico che gli ha rubato l’amore. Il Generale attende per quaranta anni nel bosco l’amico che lo ha tradito. Perché? Come? C’è un pezzo bellissimo del dialogo tra Henrik e Konrad che trascrivo:

Henrik a Konrad:
"Non credi anche tu che il significato della vita sia semplicemente la passione che un giorno invade il nostro cuore, la nostra anima e il nostro corpo e che, qualunque cosa accada, continua a bruciare in eterno, fino alla morte? E non credi che non saremo vissuti invano, poiché abbiamo provato questa passione? E a questo punto mi chiedo: la passione è veramente così profonda, così malvagia, così grandiosa, così inumana? Non può essere che non si rivolga affatto a una persona precisa, ma soltanto al desiderio in sé? Oppure, nonostante tutto, si rivolge a una persona ben definita, alla stessa, misteriosa persona che può essere indifferentemente buona o cattiva, senza che l’intensità del nostro sentimento dipenda in alcun modo dalle sue azioni e dalle sue qualità? Rispondi, se ne sei capace."

Konrad ad Henrik:
"Perché me lo chiedi? Sai che è così."

Il Capitano Taliercio ha vissuto la “passione per la vita”. L’ha provata intensamente, la sentiva quando girava il mondo su una petroliera, affrontava i marosi e anche il mare calmo — quello caro al vecchio pescatore di Hemingway — e solo un uomo di mare può amare la vita oltre gli eccessi, portando dentro di sé passioni che non potranno mai essere completamente comprese da chi gli sta vicino.

Ci univa il piacere del mare, grande metafora della vita che sosteneva la nostra felicità, la nostra ironia e autoironia. Il mare era il nostro compagno di giochi insieme al gruppo di amici che chiamavo “i Fricchettoni”, cioè dieci vecchietti con l’eterna giovinezza dentro. Amavano la nostra isola e il nostro paese, Casamicciola. La sua memoria di ferro ci ricordava, nei nostri viaggi a mare con la sua barca, il passato glorioso ed eroico della nostra cittadina. Da qui le nostre discussioni, accompagnate da un’amarezza enorme per la decadenza del nostro mondo piccolo, ma un tempo grande.

Io e lui eravamo legati dall’amicizia tra suo padre, Giuseppe, e mio padre, Francesco, un legame che sembrava un’eredità morale da preservare. Mi portava cravatte da Piacenza, acquistate nei negozi più esclusivi di Londra o Milano, quando era un uomo importante, dirigente di una compagnia petrolifera internazionale. Era una testimonianza di affetto.

Come in Le braci, l’amicizia è il più alto dei sentimenti e non ha bisogno del corpo per esistere. Abbiamo mantenuto questo legame fino a tre giorni prima della sua morte, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione.

Lo ricorderò per sempre. E sarà sempre con me: in una sua cravatta, in una sua battuta, in una sua risata, in una sua lacrima e nella sua passione per la bellezza e la complessità della vita.

G. M.