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Il Pianeta dei Beni Comuni

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Il 28 gennaio prossimo si terrà a Napoli, promosso dal Comune di Napoli, il Forum dei Comuni per i Beni Comuni: un avvenimento in sé di grande rilevanza per la natura, forse è meglio dire per la formulazione,  nuova dei contenuti che propone,  e che può divenire -  in questa fase politica di durissimo attacco, financo costituzionale, a ciò che è  pubblico,  sociale, collettivo, e di  ulteriore decisivo indirizzo alla egemonia  del capitale e della iniziativa privati -  un riferimento decisivo per una vera controffensiva culturale, ideale, politica, istituzionale  ed economica.

Naturalmente occorre avere la consapevolezza, necessariamente anche rivendicazione essenziale, che la questione, definiamola provvisoriamente in tal modo,  Beni Comuni non è delegabile ai soli Comuni,  ma appartiene a tutti, e che gli stessi Comuni possono essere l’altra parte, la parte avversa, di scelte e di lotte popolari, di gruppi, di associazioni, comitati, movimenti.

Iniziative come quella del 28 gennaio devono anzi avere la premessa di non volere né sostituire, né indebolire, né rendere funzionale al potere, sia pure locale, la istanza,  la proposta e la lotta diretta  dei cittadini.

Il sentire intenso proprio dei cittadini della idea di “Bene Comune”, manifestatosi esplosivamente nei  referendum sull’acqua,  esprime chiaramente la necessità di un percorso tutto da esplorare per la teoria e la pratica attuazione di un progetto nuovo di Società, che  è stata diffusamente  chiamata nel vasto movimento referendario,  la Società dei Beni Comuni, e che per le riflessioni e per i contenuti del presente contributo, mi piace di più chiamare almeno nel titolo: il Pianeta dei Beni Comuni.

Amplissime sono le questioni che chiaramente si pongono a partire dalla Identità Teorica di tale Società e dall’essere, o meno,  novità o riformulazione di espressioni o addirittura  di “Forme di Governo, Costituzioni,  Stati” già praticati.

Il “Comunismo”,  nell’infinito cammino di ricerca che lo ha accompagnato lungo tutta la Storia dell’Uomo -  a partire dalla mitica Età dell’Oro raccontata da Ovidio,   e di cui quello a matrice marxiana è un importantissimo esperimento almeno per la nostra Epoca, per i  nostri secoli,   per le attuazioni che ha avuto e che tuttora ha -   è la ricerca della Società della Comunione dei Beni; per la matrice marxiana tale ricerca - naturalmente stiamo parlando della condizione della scrittura dei testi “comunque sacri” di Marx ed Engels -  “il motore della storia”,  è nella contrapposizione dinamica, storicamente determinata, tra una ristretta  parte, la classe borghese, che possiede o controlla i mezzi di produzione e la grande maggioranza degli Uomini , che non possiedono  nulla,  se non  la propria forza lavoro; per le primitive  Comunità Cristiane la ricerca si realizza compiutamente nella scelta della propria coscienza,  in coerenza con il vero messaggio di  Cristo: Or tutti coloro che credevano stavano insieme ed avevano ogni cosa in comune. E vendevano i poderi e i beni e li distribuivano a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. E perseveravano con una sola mente tutti i giorni nel tempio e rompendo il pane di casa in casa, prendevano il cibo insieme con gioia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo.” (Atti degli Apostoli, 2, 44-47). E naturalmente si può inserire una infinita serie di altre espressioni teoriche e attuative, dal lontano regno in Mesopotamia  di Ur III di circa il 2100 a.c. alla “Utopia di Tommaso Moro” e la “Città del Sole di Tommaso Campanella”, dai movimenti connessi alle lotte contadine di Thomas Muntzer al pensiero premarxiano di Owen, Saint - Simon, Fourier, Pierre-Joseph Proudhon,  dalla Comune di Parigi del 1871 alle importantissime e fortemente innovative esperienze che stanno caratterizzando l’America Latina ed i Caraibi. La Storia del Pensiero Comunista, della Utopia della Società della Comunione dei Beni, è la Storia della ricerca della piena realizzazione dell’Uomo  quale Identità Universale rispetto alla singola individualità, nella compiuta realizzazione della Identità specifica della singola Persona.

Per il declino di immagine, per l’oscurantismo dominante sul verbo  stesso   “Comunismo”,  vi è, in Italia e in Europa la scelta radicalmente  diffusa, naturalmente non totalizzante,   a ignorarlo in ogni espressione o manifestazione teorica o d’azione; io credo  invece che,   a partire proprio dal piano puramente teorico,  la questione  Beni Comuni  costituisca la  centralità, o almeno la  sostanza fortemente pregnante  della ricerca di una identità nuova  del Pensiero e della Utopia Comunista. Le idealità e le adesioni alla “Guerra per i beni comuni” coprono la debolezza  teorica, politica e pratica per l’Orizzonte di una Società Comunista.

La formulazione “beni comuni” è molto più forte (almeno la si può intendere in tal modo)  di comunione di beni; nella seconda espressione vi è l’oggetto, che sono i Beni della Natura o creati dall’Uomo,  che vengono messi in comunione, per cui ciascuno ha accesso (paritario o secondo necessità) ad essi; l’avere,  sia pure con pari diritto ed  opportunità,  è la identità di tale pensieronella prima  espressione è invece  l’essere stesso del bene che implica la comunanza, una caratteristica “innata” del bene stesso, che nasce dalla sua natura:  è  insito indissolubilmente al bene stesso l’essere comune, che perciò non può appartenere a nessuno. “La Natura non ha fatto di proprietà privata né il Sole, né l’aria, e neppure la fluida acqua”, ricorda, nelle Metamorfosi,  Latona ai Contadini che gliela vogliono vietare.

In un Pensiero Generale, che è essenziale avere sempre come Orizzonte di ricerca e di lotta,  appare chiaro come non vi sia, non vi possa essere  nullo in Natura  che non sia “Bene Comune”, ovvero che il Bene Comune è  la Natura, la intera Terra, con il Volto della sua superficie ed ogni suo contenuto ed espressione.

 

“ La Terra che accomuna”. Chi e in quale ottica spaziale e temporale accomuna la Terra? Qui sta il  passaggio essenziale  da una visione di Comunione di Beni del Comunismo, nella quasi totalità delle sue espressioni fino ad oggi avutesi,  al Pensiero Nuovo dei Beni Comuni: il coniugarsi dei Beni Comuni da una parte con la Biodiversità ovvero con  le altre Espressioni e Forme di vita del Mondo Animale e Vegetale,   e dall’altra con le Generazioni Future; la visione, la necessità e la prospettiva di un nuovo Comunismo, quello penso si possa chiamare Comunismo Ecologico. Il passaggio è storicamente determinato dalla “insostenibilità dello sviluppo sostenibile”, nelle sue esteriorizzazioni della crescente limitatezza delle risorse, dal catastrofico impoverirsi e deteriorarsi delle risorse comuni, dalla diminuzione esponenziale della Vita e delle condizioni stesse del suo Essere, quale è l’incalzante alterazione del Clima.

Positivamente possiamo vedere che, sia pure con tante riduzioni e limiti, tali rivoluzionarie imponenze cominciano ad entrare decisamente nella Struttura del Pensiero Operante, nella Cultura e nella Politica,. La Commissione Rodotà, istituita presso la il Ministero della Giustizia, con Decreto del Ministro, il 21Giugno 2007 (ultimo Governo Prodi) introduce giuridicamente i “Beni Comuni”, differenziandoli dai Beni Pubblici oltre che naturalmente da quelli Privati e comincia a dare una definizione di essi dal respiro globale “le cose che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona”, pone la loro salvaguardia e tutela “anche a beneficio delle generazioni future”,  garantisce “la loro fruizione collettiva”, li esclude dalla logica e dalle regole del mercato, “sono collocati fuori commercio”.

Paolo Cacciari ha sicuramente ragione quando afferma “ che i Beni Comuni “sono un processo di riconoscimento e di rivendicazione sociale” e che il loro ingresso nel vocabolario comune ci è utile per immaginare una società diversa dal punto di vista economico, giuridico e anche (per me principalmente) antropologico filosofico”: è la essenza delle riflessioni da me prima espresse.  Ma va invece criticata e rivisitata  l’affermazione con cui introduce questi suoi fondamentali contenuti teorici: “I beni comuni non sono una categoria merceologica o una lista di beni e risorse”; il percorso della realizzazione della Società dei beni Comuni, del Comunismo Ecologico,  ha tappe fondamentali nella acquisizione alla Cultura di Massa, alla Politica, alla Gestione secondo la Filosofia di Bene Comune, di  tali beni e risorse. In tal senso grande rilevanza assume l’elenco fatto dalla predetta Commissione Rodotà:  “Sono beni comuni, tra gli altri: i fiumi,  i torrenti e le loro sorgenti; i laghi e le altre acque; l’ aria; i parchi come definiti dalla legge, le foreste e le zone boschive; le zone montane di alta quota, i ghiacciai e le nevi perenni; i lidi e i tratti di costa dichiarati riserva ambientale; la fauna selvatica e la flora tutelata; i beni archeologici, culturali, ambientali e le altre zone paesaggistiche tutelate” Naturalmente vi sono grandi limiti: il più significativo è la cultura della Biodiversità nell’accezione globale della sua specifica identità,  completamente assente nella proposta. Ma se riuscissimo a rendere Beni Comuni tutto ciò che è indicato nella proposta Rodotà saremmo davvero davanti ad una Società profondamente nuova, diversa, più solidale verso le altre forme di Vita e le Generazioni Future.

Ma  ciò oggi, con il Governo Monti,  appare completamente irrealizzabile. Il cuore della Politica dello Stato verso i Beni Comuni è la Ricchezza del Bilancio Pubblico, la piena disponibilità e valorizzazione di Risorse Pubbliche; quando questo è violentato,  addirittura Costituzionalmente, svilito rispetto al Capitale privato, i Beni Comuni diventano oggetto irreversibile di selvaggia privatizzazione, di deturpazione, di speculazione e di saccheggio. La stessa battaglia per difendere la immensa portata di contenuti e di democrazia dei referendum sull’acqua è annichilita dalla carenza di risorse pubbliche per ogni azione necessaria alla tutela ed alla utilizzazione della risorsa, dalla captazione, al trasporto, alla distribuzione. Resta cioè pura enunciazione, astratta dichiarazione propagandistica  ogni impegno o  atto politico per i “Beni Comuni” se non accompagnati da una scelta e da una  lotta per arricchire e qualificare la Spesa Pubblica. Beni Comuni e Spesa Pubblica si intrecciano indissolubilmente.


Il “Comune” dei Beni Comuni  porta con sé, per una nuova riformulazione, un’altra fondamentale questione, quella della democrazia: il fatto che il bene sia comune, non in contraddizione o in contrapposizione con il pubblico, che diviene anche attributo del “comune”, e cioè di un’appartenenza diretta alla comunità  implica che le scelte su di esso non possono delegarsi alla rappresentanza eletta,  ma devono direttamente vedere il coinvolgimento dei soggetti della comunità; i Beni Comuni pongono cioè la grande questione della Democrazia Partecipativa, della ricerca cioè di forme e strumenti di democrazia più veri e compiuti rispetto a quelli che viviamo: possiamo certo iniziare a formulare espressioni quali: la Democrazia Partecipativa sta alla Democrazia Delegata come i Beni Comuni stanno ai Beni Pubblici.

Siamo invero all’Inizio del Ritorno della ricerca di  tale, affascinante, coinvolgente, entusiasmante,  forma di Democrazia, che dalla lontana Grecia di Pericle ai movimenti del 68, dai Soviet alla Comune di Parigi ha cercato una sua materializzazione, spesso irrealizzata o degenerata.

Il Forum di Napoli in tal senso può essere  un esperimento di grande rilevanza, soprattutto nella ricerca del possibile percorso di democrazia partecipativa sia dentro al rapporto  Comuni – Movimenti - Cittadini, sia nella coesione di comuni interessi e conseguenti rivendicazioni e lotte rispetto a più alti livelli, Stato Nazionale, Europa.

Ciò può avvenire,  o meglio avviene naturalmente se i Soggetti promotori dell’evento hanno forte credibilità per la coerenza della diretta loro azione sui Beni Comuni.   Purtroppo su molte scelte a Napoli proprio  non ci siamo!