Distillati di esperienze emersi dalla tavola rotonda
Moderati dal giornalista Ciro Cenatiempo, venerdì 2 ottobre 2009, presso la terrazza panoramica della trattoria Il Focolare di Barano d’Ischia, si sono susseguiti gli interventi dei protagonisti della cultura agroalimentare nazionale, tra cui i noti volti televisivi di Beppe Bigazzi e Gianfranco Vissani, il cartoonist Sergio Staino, l’Assistente Ecclesiastico dell’International Catholic Rural Association, Biagio Notarangelo, il veterinario Massimo Barbato e l’agronoma Silvia D’Ambra.
Il tema comune è stato quello della difesa dell’agricoltura che veda «Ischia emblema locale di una realtà globale», come ha detto Cenatiempo, il quale, intervenendo per indirizzare i relatori, ha ricordato una sua storia personale a titolo esemplare per le 27 000 cause legali intraprese per simili motivi: «Sulla strada che portava ai miei 3700 metri di terra è stata costruita abusivamente una villa di 36 metri quadri. Oggi a Ischia le aziende ricettive sono 450 per un totale di 150 000 vani».
Gli indirizzi iniziali di saluto del Sindaco di Barano d’Ischia, Paolino Buono, hanno subito tenuto a precisare come ritornare al passato non significhi “tornare indietro”, bensì riscoprire le antiche tradizioni e gli antichi gusti. Il suo auspicio è stato quello che le sei realtà comunali dell’isola riescano a «ragionare con un’unica mente, rispettando le identità locali».
A fare da apripista della serie di interventi è stato, a giusta ragione, il padrone di casa, nonché ideatore e promotore dell’iniziativa, Riccardo D’Ambra, Fiduciario Slow Food della Condotta Ischia e Procida dedicata a Filippo Di Costanzo. «Agricoltura è una parola che sento in me da sempre», ha affermato. Rivolgendosi, poi, agli ospiti ha detto: «La biodiversità è seduta a questa tavola. Qui a Ischia l’agricoltura è di tutti, eppure dopo la vendemmia c’è il nulla, nessuno sa che fine faccia quel vino né si hanno dati certi della sua influenza sull’economia isolana». Ricordando una frase del padre, il quale diceva: «Mangia quello che vuoi salvare», D’Ambra ha fatto sua la richiesta dell’antropologo Marino Niola di considerare il cibo “patrimonio dell’umanità”. Il Fiduciario si è voluto soffermare anche sulla parola “difendere”, contenuta nel titolo del Convegno, dicendo: «Si difendono i deboli, si difende chi si ama» e, in chiusura del suo intervento, ha anticipato che è in fase di studio una collaborazione con Staino per la realizzazione di un fumetto che vedrà protagonista il coniglio da fossa o il fagiolo zampognaro.
La prima delle relazioni della tavola rotonda è stata affidata di diritto a Corrado Barberis, Presidente dell’Istituto Nazionale di Sociologia Rurale, autore di saggi quali L’avvenire delle campagne europee, Ruritalia e La rivincita delle campagne. «Slow Food ha fatto diventare un mare il rigagnoletto inaugurato nel 1976 dall’INSOR», ha esordito Barberis specificandone le motivazioni. «L’Italia non è il paese del grano, ma è il paese del panettone, ovvero non è il paese delle materie prime, ma quello dei prodotti trasformati. In questo ambito, il prodotto tipico è la traduzione della tradizione millenaria e la bandiera della nuova agricoltura. In termini di quantità, la nostra nazione importa il 38% dei prodotti consumati, ma in termini di qualità, ovvero di forza economica, tale mole è pari solo al 5%». Il sociologo ha, quindi, voluto concludere esortando chi lavora per il prodotto tipico a tenere presente che lavora per l’alta qualità: «Soffro quando penso che i nostri prodotti debbano avere come utente finale il ricco borghese dei Paesi esteri perché l’operaio potrebbe meglio comprendere le fatiche del contadino».
L’agronoma Silvia D’Ambra ha dedicato il suo intervento a un’esperienza vissuta con gli allievi dell’Istituto per i Servizi Alberghieri e della Ristorazione “Vincenzo Telese” di Ischia, in uno degli incontri di ricerca delle erbe da inserire nel cocktail Cretailibre servito ai presenti all’incontro: «Il Fondo d’Oglio è una riserva straordinaria di biodiversità isolana», ha detto. «In questa oasi, i sogni di gloria di chi spera in un futuro da virtuoso barman troverebbero il suo approdo naturale, se non fosse per gli incendi che hanno devastato la nostra dovizia vegetativa». D’Ambra ha, poi, concluso con l’auspicio che ciascuno, indipendentemente dai poteri istituzionali, si impegni per preservare dalla distruzione un ambiente che richiede solo maggiore attenzione.
I dati relativi alla produzione agroalimentare dell’isola d’Ischia sono, poi, stati forniti dal capo dell’area veterinaria Asl Na2 Ischia e Procida, Massimo Barbato. «16 sono gli allevamenti di vitelloni con un totale di 25 capi presenti sull’isola, ai quali si aggiungono 2 allevamenti di lattifere. Il tentativo di incrementare la produzione è spesso stato ostacolato anche da motivi igienico-sanitari e, dunque, da me», ha rivelato Barbato aggiungendo: «Il conflitto attuale è con gli allevatori che, nel timore di essere scoperti quali illegali, non chiedono aiuto per migliorare le proprie produzioni, ma preferiscono rimanere nell’ombra. Molto spesso a Ischia, il contadino è tale per tradizione familiare e, infatti, gli allevamenti per autoconsumo regolarmente registrati e che prevedono da 1 a 3 capi sono 320 per un totale di 800 capi l’anno. Il dato potrebbe essere maggiormente preciso se i legislatori consentissero l’utilizzo dei caprini, utili anche per la pulizia dei campi, e portassero la produzione familiare almeno a 5 capi». In merito al tema del completamento del ciclo produttivo, Barbato ha asserito: «Nella nostra terra esiste un solo impianto di macellazione, un macello cunicolo riconosciuto dall’UE. Nonostante i nobili motivi per chiudere il macello comunale per aprire al suo posto una scuola, oggi non possiamo non riconoscere che sia stata questa una causa oggettiva di distruzione degli allevatori locali. In pratica, oggi chi intende macellare i propri capi deve spesso andare sulla terraferma». Un ultimo pensiero è stato dedicato, come ovvio, all’allevamento dei conigli, «attività peculiare dell’isola» secondo lo stesso veterinario: «I conigli macellati in impianto autorizzato sono 150 000 l’anno, ma circa 3 volte superiore è il numero di quelli macellati in famiglia. L’auspicio - ha detto Barbato - è quello di riuscire a creare un macello cooperativo o collettivo».
Sull’etica del cibo si è, invece, soffermato Mons. Biagio Notarangelo. «La prima enciclica di Giovanni XXIII è dedicata soprattutto all’agricoltura. La Chiesa non ha, dunque, mai smesso di guardare al lavoro della terra. I recenti fatti di Messina ci spingono a chiedere che la scienza si adoperi per prevedere il prevedibile, ma anche a invitare l’uomo a non dimenticare di preservare la terra». In conclusione, Sua Eccellenza ha aggiunto: «Mangiare è un atto morale e non possiamo lasciare nessun uomo senza pane. Il Concilio Vaticano II ha, infatti, affermato con forza che ogni vocazione viene dalla zappa».
La riflessione sull’alluvione di Messina è stata ripresa anche da Beppe Bigazzi: «In Italia quando piove la gente muore. Mio padre diceva: “La terra quando è abbandonata scende a valle”». Etica e sapori sono, poi, stati al centro del discorso: «L’agricoltura italiana è fatta di capolavori. Con Slow Food, si sta improntando un discorso di salvaguardia dei contadini custodi di tali capolavori. Oggi manca soprattutto la coscienza e la conoscenza della produzione agricola: piantare per 30 anni il granoturco irriguo negli stessi terreni è un delitto». Sul tema delle produzioni d’eccellenza, Bigazzi ha ricordato il recente episodio che ha visto protagonista il Consorzio del Parmigiano Reggiano, il quale «ha obbligato il Governo ad acquistare nel 2008 150 000 forme da dare ai poveri, come se questi fossero gente di serie B: chi fa buoni formaggi ci guadagna, senza richiesta di sussidi». Con la sua solita verve espositiva ha, poi, incitato i consumatori allo sciopero della spesa: «I nostri acquisti sono l’unico atto politico che compiamo nel corso della giornata. Lasciamo sugli scaffali quegli extravergini d’oliva che non sono né extravergini né d’oliva».
Lo chef Gianfranco Vissani ha, invece, voluto iniziare la sua esposizione con uno sguardo ai prodotti presenti sulla tavola della presidenza: «Trovare sui mercati questi capolavori è solo sogno. E il motivo è l’assenza di manovalanza: mancano i produttori e il costo è proibitivo. Negli stessi ristoranti, gli chef non vanno al mercato e preferiscono spesso ordinare al telefono. Così, ci ritroviamo faraone già sezionate, invasioni di farina di Manitoba, la margarina al posto del burro, la carne danese al posto della chianina». Implicito, dunque, l’invito conclusivo agli artisti della cucina, suggerito secondo la sua tradizione umbra: «A bottega stacce, ma al mercato vacce».
Un pensiero sull’artificialità dei prodotti e la cura verso la terra è stato rivolto ai presenti anche da Mons. Filippo Strofaldi, Vescovo di Ischia. Napoletano, «di Porta Capuana», come ama definirsi lui stesso, è sull’isola da 11 anni. Il suo intervento, un divertissement sul tema, è così iniziato: «In principio Dio creò il cielo e la terra. Punto. Quel “punto” è Ischia, ricca di ogni bene». In maniera carismatica ha, poi, narrato con evidente simbolismo di aver ricevuto in dono durante un suo pellegrinaggio un fiore che aveva trattato con ogni attenzione: «Quale delusione - ha detto il Vescovo - quando ho scoperto che era di plastica! Però ho continuato a tenerlo in acqua».
Breve ma intensa la testimonianza di Sara Costa: «Sono un’aliena», ha esordito la Presidente di Green Ground- Il terreno verde. «Sono una delle poche aliene dell’isola d’Ischia, in quanto contadina. Ciò che chiediamo alle Istituzioni ma soprattutto agli abitanti del territorio è solo meno folklore e più capacità produttiva».
L’imprenditore Bruno Muratori, di origine bresciana, si è, invece, soffermato sulla sua scelta per l’isola: «La mia famiglia ha deciso di produrre una tipologia di vino per ogni territorio. In Franciacorta, solo le bollicine; a Benevento i bianchi; in Toscana i rossi e a Ischia un mix di biancolella, forastera, uva rilla, san lunardo e coglionara che prende il nome di Giardini Arimei. La nostra cantina qui è fatta di 4 vani con muri a secco di tufo verde, caratteristico dell’isola, per riportare agli antichi fasti un ambiente stupendo del ‘700».
Di dichiaratamente minore entità etica e più impregnato di sociale è stato l’intervento di Sergio Staino: «A un Premio Tenco di qualche anno fa, Carlo Petrini si chiese e domandò a me se fosse possibile far mangiare meglio gli operai almeno nelle loro feste. Mi ricordò così come Bertolt Brecht ne La condanna di Lucullo narrasse di un guerriero romano convinto di meritare alla sua morte il Paradiso degli eroi e che, invece, si vide quasi costretto all’Inferno perché ogni vanto che egli ritenesse tale gli venne, invece, mosso come accusa. Alla fine della storia, il guerriero si salva solo per avere portato in Europa il ciliegio, cosa involontaria ben lontana dalle sue virtù. Parafrasando questo ricordo, non posso non dire che è mettendo insieme gli elementi di Terra Madre e Slow Food che trovo l’unico punto sicuro per costruire una strada per il futuro». In appendice al suo discorso, Staino pone un riferimento scherzoso al suo nuovo impegno preso verso Riccardo D’Ambra: «Proverò a distillare un disegno da dedicare a Ischia. Non so ancora se sul coniglio o sul fagiolo, ma riterrei più opportuno che il protagonista fosse lo stesso Riccardo».
Difficile tirare le somme, al termine di tanti interventi. Ecco perché la patata bollente è stata affidata al Presidente Slow Food Italia, Roberto Burdese: «Sovente dopo giornate così belle ci si sveglia ed è tutto uguale. Qui, però, vogliamo provare a mettere qualche punto per un cambiamento radicale». «Quando si ragiona su un’isola, si tratta necessariamente un modello chiuso, quasi un mondo perfetto: non c’è un vicino di casa al quale declinare le responsabilità. Ischia ha oggi l’occasione di diventare laboratorio: noi co-evolviamo con il nostro ambiente, pur se non ne percepiamo i segnali. Siete aggrediti dal cemento», ha sottolineato Burdese. «La vostra Comunità di 64 000 abitanti è ricca ma è a rischio: l’industria turistica per questa via non ha vita lunga se non ci sarà più la bellezza». Da queste premesse, l’impegno di Slow Food: «Se il laboratorio ischitano riesce a diventare modello per tutte le isole del Mediterraneo, Slow Food si impegna nei confronti dell’isola, delle istituzioni e dei cittadini con la stesura di due documenti che saranno presentati il 10 dicembre prossimo, Terra Madre day, giorno della sovranità alimentare. Chiediamo ai consigli comunali di deliberare entro i primi sei mesi del nuovo anno sulle proposte che da essi emergeranno». Concitato l’intervento finale: «Qualora ciò non avvenisse, la domanda è: cosa ci stiamo a fare a Ischia con Terra Madre se non c’è terra? Un secondo documento sarà, perciò, un appello in forma di lettera aperta agli abitanti perché, se è vero che i Sindaci autorizzano cose che non vanno, è altrettanto vero che lo fanno per assecondare gli interessi dei cittadini. È giunto, dunque, il momento di dire basta alla cementificazione. Ischia è già stata costruita, nessun metro quadro deve più essere sottratto all’agricoltura. Si devono, pertanto, impegnare tutte le risorse, anche quelle dei fondi economici previsti dai piani dell’Unione Europea, a favorire l’agricoltura di piccola scala fondata sulla biodiversità. In che modo? Aprendo, per esempio, un macello comunale perché il coniglio possa completare qui tutta la sua filiera produttiva». Non poteva mancare, in conclusione, l’appello diretto ai co-produttori: «Si facciano gruppi di acquisto, otteniamo la consapevolezza attraverso i vari settori comunicativi, come quelli artistici. Se riuscite a far ripartire questa sfida, ci saremo. E ci sarete voi a raccontarlo al prossimo incontro mondiale di Terra Madre, a Torino nel 2010».
Antonio Puzzi ufficio stampa Slow Food Campania