L’ho scritto migliaia di volte. L’ho ripetuto in decine o centinaia di interventi pubblici e privati: i piani urbanistici devono essere legati ai piani economici e finanziari. Senza un progetto che indichi da dove prendere i soldi, entro quanto tempo, chi li deve mettere e quanto i privati imprenditori sono disposti a investire in interventi strutturali e infrastrutturali — che rappresentano il costo sociale del profitto — i piani urbanistici non servono. Sono solo libri dei sogni, spesso utilizzati a fini elettorali.
Come stanno le cose in Campania lo affermò il “governatore” Vincenzo De Luca, intervenendo alcuni anni fa a un convegno a Napoli promosso dal prof. Realfonzo, titolare di un corso universitario sul “governo del territorio” (sic!), riguardo al ruolo che avrebbe potuto svolgere la Città Metropolitana di Napoli, come prevista dalla legge Del Rio del 2014. La Città Metropolitana avrebbe dovuto redigere un “piano strategico” coordinando 92 Comuni.
De Luca, con molta franchezza, affermò che in Campania c’è un’emergenza continua che impedisce di pensare o progettare il futuro. Disse inoltre che non sapeva neanche dell’esistenza della Città Metropolitana né a cosa servisse.
Per esigenze di propaganda politica, circa dieci anni dopo quell’intervento — dimenticato tra la valanga di comunicati pubblici del grande comunicatore De Luca —, e dopo cinque anni di lavoro di 35 tecnici, egli è costretto ad affermare che il recente Piano della Ricostruzione per l’isola d’Ischia è un evento storico di straordinaria importanza. Magari fosse vero. Ma in realtà è solo un libro dei sogni e di “ovvietà”, perché molto più seriamente si sarebbero dovuti fare progetti parziali di ricostruzione e riqualificazione urbana legati a piani finanziari approvati dai Comuni con il Documento Unico di Programmazione (DUP), allegato al bilancio annuale, che avrebbe dovuto essere un documento decisivo e non un semplice adempimento burocratico con l’indicazione di opere pubbliche descritte e mai realizzate o di impossibile attuazione.
Il caso emblematico sono i depuratori per sei Comuni, che avrebbero dovuto funzionare fin dal 1980, cioè 45 anni fa, mentre ancora oggi siamo alla fase progettuale, affidata alla società pubblica Invitalia, in conflittualità — è il caso di Casamicciola, dove il caos è leggenda — con i Comuni stessi.
Non ho fatto che ripetere quella acuta osservazione di Paolo Sylos Labini e Giorgio Fuà, due economisti, contenuta nel loro libro del 1963 “Idee per la programmazione economica”:
“L’obiettivo fondamentale della politica urbanistica è di tradurre sul territorio i programmi economici. La programmazione economica e la pianificazione urbanistica non rappresentano due fasi separabili sotto il profilo operativo, ma sono due aspetti di un unico processo.”
Parole lapidarie. I piani urbanistici non si fanno solo con gli architetti. Si fanno anche — e soprattutto — con i ragionieri, cioè con coloro che gestiscono i soldi.
Un’opera pubblica non è solo un progetto ambientale: è un programma economico. Deve dire quanti soldi servono, chi li mette, quanti anni servono per realizzarla e, ultimo ma non meno importante, chi la gestisce, quanto costa la gestione e chi finanzia la gestione stessa.
Una simile concezione della “programmazione economica” avrebbe dovuto essere al centro dell’azione di governo. La storia di quella speranza di “rivoluzione” è raccontata nella vita e nell’opera di Giorgio Ruffolo. Ritengo che, dopo un abbandono di 30 anni con la ventata del “liberismo”, il ritorno alla “programmazione generale e imperativa” dal Governo al Comune sia la strada obbligata, se si vuole combattere seriamente le disuguaglianze, le nuove povertà e creare nuova occupazione dignitosa per i giovani.
17.11.25 – Giuseppe Mazzella, Il Continente
