Ho sempre ritenuto, fin dalle prime letture di diritto ed economia all’Istituto Tecnico per Ragionieri e poi alle facoltà di Economia e Commercio e di Scienze Politiche, che il cuore dell’ordinamento giuridico repubblicano sia il Comune.
Il Comune rappresenta la prima cellula dell’organizzazione civile dello Stato ed è un ente a competenza “generale”: nessun problema di interesse collettivo, anche solo di persuasione morale, è escluso dalla sua sfera di azione. Quando non ha competenza diretta, esercita quella “in diritta”, richiamando gli altri rami dello Stato a intervenire.
Il decentramento amministrativo della Repubblica non è solo partecipazione democratica: è concorso all’efficienza collettiva delle istituzioni. La Costituzione prevede tre livelli di decentramento: Comune, Provincia e Regione. Non a caso, le prime elezioni democratiche si tennero nel 1946 per rinnovare i consigli comunali; la Provincia fu ripristinata nel 1952 con le prime elezioni, mentre la Regione fu istituita solo nel 1970, dopo un dibattito durato 22 anni, poiché il regionalismo poteva rappresentare un eccessivo frazionamento dello Stato unitario.
Il leader del PRI, Ugo La Malfa, riteneva che con l’istituzione delle Regioni a “statuto ordinario” le Province dovessero essere soppresse. Tuttavia, tra i partiti di centro-sinistra (DC, PSI, PSDI, PRI) si raggiunse un compromesso: le Regioni sarebbero state organi di programmazione e legislazione in materie delegate dallo Stato, senza personale proprio ma con personale trasferito da Stato, Province e Comuni.
Nei 55 anni successivi, le cose sono evolute diversamente. Le Regioni sono diventate giganteschi enti di gestione, sottraendo progressivamente funzioni alle Province e trasformando i Comuni in eterni questuanti di fondi, erogati direttamente o trasferiti dalla Regione. La funzione di programmazione ha seguito le politiche economiche e le mode del tempo, e con la ventata liberista degli anni ’80 la “programmazione” è stata quasi del tutto cancellata dalle agende di governo, comprese quelle regionali.
Su questo tema della “programmazione mancata” ho dedicato studi, ricerche e scritti su giornali e libri, passando da entusiasmi a delusioni. Da queste esperienze ho tratto la convinzione che chi è senza peccato scagli la prima pietra, sia tra i partiti solidi che tra quelli liquidi della prima e della seconda Repubblica.
