A Ischia Ponte, su una panchina fuori alla Chiesa dello Spirito Stanto che ospita il dipinto della Madonna di Ponza, il professore Giosuè Vezzuto mi racconta del trasferimento dei confinati politici da Napoli alle isole ponziane.
Il professor Vezzuto, classe 1924, figlio del responsabile del carcere mandamentale di Ischia, é probabilmente l'ultimo testimone del passaggio dei confinati per l'isola partenopea nonché l'unica fonte consultabile, essendo andati distrutti i registri su cui venivano annotati i transiti dei detenuti.
La permanenza ad Ischia, sebbene non prevista nel piano di viaggio dei confinati in partenza da Napoli, era evento non raro : spesso violente ponentate costringevano il piroscafo di linea a gettare le ancore, in attesa che il vento scemasse e che si potesse proseguire verso Ventotene e Ponza.
Giorgio Amendola scrive in proposito, nel romanzo autobiografico UN' ISOLA:
"Non vollero togliermi le manette. Dove avrei potuto scappare? Le isole sfilavano: Procida, Ischia, Ventotene. Dopo l'oscurità del carcere ritrovavo la luce,l'aria, il sole".
Il ricordo dei confinati diretti alle isole ponziane, ammassati nel carcere di Punta Molino, é impresso nitidamente nella memoria del professor Vezzuto, così come l'edificio sul mare, con due stanzoni - sezione maschile e femminile - e un terzo , che il Comune usava come deposito o come ricovero per gli animali, secondo le esigenze; l'alloggio del responsabile del carcere, che lì viveva con la famiglia, era annesso alla prigione o, per meglio dire, inglobato in essa ..."Per raggiungere le camere da letto bisognava passare attraverso l'ufficio di mio padre che, a volte, era utilizzato dal magistrato per gli interrogatori. Capitava così che, per andare a dormire, dovessimo aspettare che l'udienza avesse termine".
ricorda Giosuè.
La madre, in quanto moglie del responsabile del carcere, aveva la mansione di"visitatrice", doveva cioè perquisire le detenute; a Ponza, gli omologhi dei Vezzuto erano Vittorio Spignesi e la moglie Luisa.
Restano impressi, nella lucida memoria del professore, i volti dei tanti confinati di passaggio, e il rimpianto di non aver dato loro un nome consultando i registri del carcere, accuratamente compilati dal padre, prima che il crollo dei solai ne provocasse la distruzione. Restano perciò senza nome la trentina di confinati provenienti da Ponza, diretti a Napoli per un processo, ammassati in uno stanzone insieme al folto gruppo delle guardie al seguito; però Vezzuto ricorda il nome dell'avvocato difensore, Mario Palermo, e a me torna in mente che Amendola lo cita quale componente il collegio di difesa, nel processo del 1934 a seguito di un' agitazione dei confinati comunisti, da lui guidata; in UN'ISOLA descrive anche il trasferimento disastroso da Ponza a Napoli, ma non accenna a soste a Ischia:"Fummo divisi in due scaglioni. Tra noi c'erano due donne,Lea Graccaglia e Maria Baroncini. Come promotore dell' agitazione, partii col primo gruppo. Appena fuori del porto, incontrammo il mare grosso. Eravamo con le manette ai polsi, uniti da una catena in gruppi di dieci. Tutti, detenuti e scorta, cominciarono a soffrire il mal di mare. Un giovane carabiniere, poco più che ventenne,cominciò a vomitare. Era impossibile arrivare agli oblò con le catene, e tutti si vomitavano addosso".
É verosimile che Amendola e Vezzuto si riferiscano allo stesso processo, ma al viaggio dei due diversi scaglioni.
Altri volti senza nome sfilano nella memoria; emerge l'immagine di un confinato che protesto' energicamente alla vista del piccolo Giosuè, scolaro delle elementari, perfettamente abbigliato da figlio della lupa: camicia nera, cravattino azzurro, fez e pantaloni verdi
Ha un nome e un volto, invece, l'ultimo antifascista che Giosuè e l'amico Franco, ormai studenti liceali, incontrano 16 settembre 1943 sul porto d'Ischia: Gino Lucetti giunge da Ventotene dove é stato in"villeggiatura", in quanto anarchico, ed ha collaborato con Spinelli; a Ischia arriva da uomo libero, dopo l'intervento degli Alleati, ed alloggia pertanto nel casino di caccia borbonico (oggi stabilimento militare). Parla di autarchia, di confini ...Franco e Giosuè , cresciuti sotto la sferza della dittatura, sono desiderosi di capire, di aprire gli occhi sul mondo. Si danno appuntamento al giorno successivo ma Giosuè, per fortuna, arriverà in ritardo.
Oggi rievoca commosso la conversazione del 16 settembre, gli eventi del giorno seguente. Racconta:
“Qualche giorno dopo l'otto settembre '43, in Ischia , vedemmo passeggiare un gruppetto di uomini, non ischitani. Venimmo a sapere che erano ex detenuti politici, confinati a Ventotene, liberati dagli Alleati e sistemati nello stabilimento militare di Porto d'Ischia. Io e i miei amici (Franco Buono, i fratelli Michele ed Enrico Longobardi , Enzo Baldino , Salvatore D'Ambra ) eravamo desiderosi di conoscerli per poter discutere di politica: da loro c'era molto da apprendere. La dittatura fascista aveva circoscritto e delimitato la cultura politica, e noi studenti liceali eravamo in uno stato di crassa ignoranza, di cui ci prendevamo conto, eccome!
Riuscimmo a stabilire un contatto con gli antifascisti; la sera, mentre passeggiavano, potevamo unirci a loro ed ascoltarne i discorsi. Ogni tanto ci permettevano di fare qualche domanda: eravamo timidi ed impacciati nei loro confronti.
Quasi sempre parlava un albanese, di cui non ho mai saputo il nome. Era basso e tarchiato, forse questi due caratteri fisici potrebbero farlo individuare: doveva essere un esponente del rigido e rigoroso partito comunista albanese. Gli altri antifascisti lo ascoltavano in un silenzio gelido, o fingevano di ascoltare i suoi monologhi. Ho ancora ben impresse nella mente certe sue frasi:"Io sarò paracadutato in Albania dagli Alleati perché dovrò capitanare la rivolta anti-nazifascista !" A parte la sfacciata millanteria, non mi sembrava che fosse il tipo adatto ad essere paracadutato, né per età né per fisico. Mi meravigliai che divulgasse un così importante segreto militare: noi eravamo abituati al motto fascista"Taci, il nemico ti ascolta".
Quella sera, ero vicino ad un simpatico giovane greco, simpatico sotto ogni punto di vista, dall' aspetto fisico al comportamento. Gli chiesi se anche lui sarebbe stato sbarcato in Grecia;
con molta tranquillità e discrezione, abbasso' le palpebre in segno di conferma. Capii allora perché gli Alleati fossero tanto generosi con gli antifascisti: non facevano niente per senza niente.
Un' altra frase dell' albanese che ricordo benissimo fu:" Le guardie carcerarie sono crudeli aguzzini".
Io mi permisi di intervenire:" Ma non tutti"."Tutti, tutti, tutti!", rispose con rabbia. Mio padre era guardia carceraria, e non era un"crudele aguzzino", chi lo ha conosciuto può confermarlo. Se prima, istintivamente, l'albanese non mi era stato simpatico, dopo questa risposta lo odiai . E non lo ascoltai più . Continuai a discutere col simpatico e giovane greco. Tra noi nacque una buona amicizia, lui voleva migliorare il suo italiano e io lo aiutai; io volevo leggere i giornali che loro ricevevano ogni giorno , e lui me li dava. Così ebbi l'occasione di leggere giornali di cui ignoravo l'esistenza: L'Avanti, L'Uunità, Bandiera Rossa, Il Giorno .
Intanto l'amico Franco Buono, che abitava in via Roma a Porto d'Ischia, a un centinaio di metri dallo stabilimento militare, aveva fatto amicizia con Gino Lucetti, l'anarchico che aveva attentato a Mussolini.
Io avevo dei preconcetti grossolani sugli anarchici, ma Franco mi assicurò che Lucetti era gentile, colto e ben disposto a discutere con i giovani, e mi invitò ai suoi incontri con Gino, al mattino e al pomeriggio, sul parco della Pagoda .
Franco studiava al collegio militare della Nunziatella di Napoli, ed intendeva fare la carriera militare, che vedeva in pericolo; era perciò inquieto e preooccupato. Però una sola volta ho partecipato agli incontri sulla Pagoda, il pomeriggio del 16 settembre 1943, il giorno prima della loro morte. Quella volta, più che in altre occasioni, mi resi conto che Franco aveva già acquisito una forte impronta militare!
Non faceva solo domande, replicava vivacemente. I due discutevano della pace e della guerra, animatamente e appassionatamente. Secondo Franco, se non si fossero fatte altre guerre, la Storia sarebbe finita; e Lucetti:"Mica la storia è fatta soltanto di guerre !". Botta e risposta, sparata di frasi simpatiche e significative .
Io ho potuto discutere con Lucetti, Franco permettendo, di un solo argomento, l'autarchia. Iniziò con una frase incisiva e sentenziosa:"L'autarchia é una politica di miseria per il paese che la applica, e crea miseria anche nel mercato internazionale" Fece esempi di processi autarchici antieconomici: la coltivazione a grano in terreni con bassi rendimenti, l'estrazione di minerali di ferro dalle spiagge; parlò della necessità di applicare forti dazi al fine di rendere competitivi prodotti scadenti; parlò della nostra incapacità ad estrarre il petrolio libico, dovuta alla mancanza di macchinari adatti, che avremmo dovuto acquistare in Inghilterra o negli Stati Uniti, cosa impossibile per via della politica autarchico. L'autarchia, dunque, non aveva contribuito allo sviluppo industriale ed economico dell’Italia . Inoltre, alimentando un falso orgoglio nazionale, aveva costituito una preparazione pratica e psicologica alla guerra. Invece lo sviluppo era frutto di una politica di pace e di amicizia tra i popoli, che permetteva di utilizzare le risorse economiche disponibili al fine di costruire non un' industria di guerra, che non crea ricchezza e beni per la gente, ma un' industria di trasformazione delle materie prime in prodotti con alto valore aggiunto. Le guerre, che portano rovina, lutti e miseria, si facevano per dominare con le armi altri popoli, o per spostare i confini di qua e di là , secondo la prepotenza dei vincitori. Confini che, al contrario, si dovevano abolire per permettere la libera circolazione di uomini e merci. l visionari di allora si sono rivelati i veri realisti, e Gino Lucetti fu uno di loro. Ma questo, l'avrei capito tanti anni dopo.
Ascoltai Gino con la massima attenzione, cercando di capire il più possibile : adesso quelle idee appaiono ovvie, ma allora scrissero profondamente le mie idee, frutto di anni di indottrinamento . Gino mi espose quella concezione di idee che poi é una stata definita" Utopia di Ventotene", a cui aveva contribuito Altiero Spinelli, antifascista, confinato a Ventotene , considerato il padre fondatore dell' Uunione Europea.
Gino Lucetti era persona garbata e affabile, colta ed informata, concordai con Franco . Verso sera lo accompagnammo allo stabilimento militare, fissando un appuntamento.
Il 17 settembre 43 facevo, come al solito, una passeggiata pomeridiana verso Porto d'Ischia; quel giorno, però, avevo appuntamento con Gino Lucetti e Franco Buono nel parco della Pagoda , per discutere di politica : avevo vivo desiderio di sentire ed apprendere idee antifasciste, al fine di effettuare una revisione delle mie idee fasciste, come ero intenzionato a fare. Mentre camminavo, pensavo alle domande da porre a Gino. Sapevo che ero in ritardo, ma non mi preoccupavo: comunque lo avrei trovato alla Pagoda, Franco, forse, aveva già sfogato abbastanza, e io avrei avuto spazio per fare qualche domanda a Gino. Sarei arrivato alla Pagoda dopo una decina di minuti; ero a via Roma, una trentina di metri dopo il bar Diaz di piazza Croce, quando sentii un colpo di cannone proveniente dalla terraferma. Capii subito che era l'inizio di un cannoneggiamento tedesco sul porto, dove erano ormeggiate navi militari degli alleati. Il tratto di via Roma da cui era venuto il colpo di cannone ( il lato est) era ed é aperto, perché c'é un' ampia strada, via Francesco Buonocore, che porta alla spiaggia; tornai perciò indietro, correndo; entrai nella sartoria di Filippo Ferrandino"cap'e fierro", che era coperta, al lato est, da un gruppo di case, ed era perciò al sicuro. Con Filippo parlai del più e del meno, in attesa che i colpi cessassero. Erano le 17,30, più o meno: non avevo un orologio.
Alla fine del bombardamento si sparse subito la voce che Franco Buono e Gino Lucetti erano stati colpiti ed erano morti. Pare che fossero stati colpiti dal primo sparo. Franco morì subito, Gino fu gravemente ferito e si trascinò fino alla centrale elettrica sul porto, dove morì.
La notizia mi sciocco', un freddo tremore si diffuse in tutto il corpo, un nodo alla gola mi impediva di parlare. Grosse lacrime cominciarono a solcarmi il viso. Non volevo che mi vedessero piangere, cercavo di concentrarmi in me stesso, perciò feci un breve cenno con la mano a Filippo e me ne andai, senza profferire parola. Camminavo tristemente verso casa, asciugandomi continuamente le lacrime. La testa era una babele, pensavo"per fortuna che ero in ritardo, sennò cosa sarebbe stato di me?". Mi consideravo un fortunato o, meglio, un graziato del Signore.
Pensavo anche:" Gino Lucetti é morto per discutere con noi, per colpa nostra". Il senso di colpa mi affliggeva.
La mattina successiva non ebbi il coraggio di far visita ai morti, era troppo per me. Il pomeriggio mi feci coraggio e andai al porto; non ero al corrente di nulla, non chiesi notizie dei funerali. Davanti al bar Diaz si faceva la commemorazione di Gino Lucetti; per la prima volta vidi braccia destre alzate col pugno chiuso:"compagno Gino Lucetti, ti vendicheremo !" e via col braccio in alto. Ne fui quasi impaurito. Era il tarchiato albanese che guidava la manifestazione, e che tenne l'orazione funebre. Me ne andai, data la scarsa simpatia che mi ispirava, e volevo rimanere in solitudine, chiuso in me stesso. Più tardi ci fu un altro bombardamento tedesco, mentre le bare venivano portate al cimitero. Il mio amico Enrico Longobardi mi raccontò, nei giorni seguenti, che le bare erano state abbandonate per strada, mentre i partecipanti al corteo funebre cercavano riparo. Anni dopo, vidi a Monte di Procida la piazzola da cui Ischia fu cannoneggiata, col famoso cannone tedesco da 88 mm, multiuso: antiaerei, navale, anticarro.
Verso la fine di settembre '43, quando le forze armate italiane cominciarono a collaborare con gli Alleati, da Ischia si sparo' contro i tedeschi che si avviavano ad evacuare Napoli. Furono i grossi obici (305 mm/17 o 320 mm/17) che, sistemati al disopra del vecchio campo sportivo, bombardarono per due pomeriggi di seguito i tedeschi in ritirata da Napoli.
Prima dell' 8 settembre '43 sull' isola vi era un gruppo di soldati tedeschi, forse una compagnia, di stanza a Serrara o forse a Forio, non so se per riposo o per il rafforzamento della difesa territoriale. L'otto settembre, all' alba, gli Alleati spararono nel golfo di Salerno; al mattino dello stesso giorno gli ufficiali tedeschi si rivolsero al comando della difesa territoriale dell' isola di Ischia per avere una nave che li portasse in terraferma, per concentrarsi nella difesa dagli alleati. Ottennero il mezzo Ondina, così non ci furono combattimenti sull' isola.
Quest 'anno ricorre il settantesimo anniversario della morte di Franco Buono e Gino Lucetti; in passato, durante le amministrazioni di Vincenzo Telese e di Umberto Di Meglio, ho chiesto che l'evento venisse ricordato con l'apposizione di una targa e intitolando una strada a Lucetti; mi é stato risposto che ciò sarebbe potuto risultare offensivo per i numerosi ospiti tedeschi dell' isola. Rinnovo la proposta. Dopo tanti anni dalla caduta del fascismo, siamo diventati democraticamente maturi? Un popolo merita rispetto se ha considerazione della propria storia ed io, che del popolo ischitano mi sento parte, nonostante viva da 43 anni a Brescia, spero nella sensibilità degli amministratori di questa comunità.
A Franco Buono é intitolata la strada che dalla centrale elettrica conduce alla Pagoda; si potrebbe intitolare a Lucetti un tratto di via Iasolino”.
Qui finisce il racconto di Giosuè Vezzuto mentre la polemica inizia.