Le osservazioni sul cambio di proprietà de la Repubblica che ho espresso su Ponzaracconta hanno suscitato l’interesse di amici e colleghi che, per formazione politica, sono stati profondamente legati a questo quotidiano. Il dibattito che ne è nato è costruttivo e riguarda non solo la nostra generazione, quella del ’68, ma anche quella di oggi.
La Repubblica è stato il primo giornale italiano che, fin dal primo numero, ha dichiarato esplicitamente la propria identità: un giornale di sinistra. Nessun quotidiano che si proclamasse “indipendente” aveva mai fatto una scelta di campo così netta. Tutti gli altri — al di là dei giornali di partito come l’Unità, Avanti!, Il Popolo, La Voce Repubblicana — si dichiaravano indipendenti, rivendicando il primato dell’informazione. Un’indipendenza spesso effimera, più apparente che reale.
La Repubblica si dichiarava di sinistra e si assegnava un compito ambizioso: contribuire alla costruzione in Italia di una sinistra di governo, valorizzando il PSI e facendo emergere una natura laica del PCI. L’architetto di questo disegno fu Eugenio Scalfari. La Repubblica fu una sua creatura, così come il settimanale l’Espresso. Scalfari proveniva dall’esperienza de Il Mondo di Mario Pannunzio, che fu il suo maestro.
Da una posizione di minoranza politica — l’area laica — Scalfari non ambiva inizialmente a creare un grande giornale di informazione generale: non ne aveva i mezzi. Voleva invece un giornale di opinione, capace di spiegare che la via italiana alla democrazia passava senza i preti (o con “certi” preti), con i laici e i socialisti, e che il PCI doveva trasformarsi in un partito socialista capace di avere un peso in Occidente.
Scalfari riuscì a costruire, per oltre vent’anni, un giornale di sinistra senza steccati. Con l’aumento del favore dei lettori, migliorò progressivamente qualità e quantità dell’informazione generale: dallo sport alla cucina, dal femminile all’economia e alla finanza. Con il solo prezzo del quotidiano, il lettore poteva avere “tutto”.
Scalfari, fondatore de l’Espresso, finì per rendere quotidiano il settimanale, sacrificando di fatto la sua prima creatura. La Repubblica offriva informazione generale, un settimanale di libri e inchieste, uno femminile, uno maschile, un altro dedicato ad affari e finanza, ricchissimo di documentazione. Uno sforzo editoriale enorme, degno di una grande catena editoriale.
A un certo punto Scalfari comprese che la Repubblica era diventata un’impresa editoriale che richiedeva capitali di sostegno. Il gruppo originario non era più sufficiente. Da qui la “finanziarizzazione” del giornale e la nascita di un vero gruppo editoriale. Ma questo obiettivo era lontano nel 1976, anno della fondazione.
Il cammino del giornale di Scalfari venne osservato, compreso e in parte copiato dal Corriere della Sera. Ma il Corriere era ed è il giornale della finanza italiana, con capitale a Milano, non a Roma. Il duello tra Roma e Milano attraversa la storia dei grandi quotidiani italiani.
La Repubblica è oggi un gruppo editoriale che deve fare i conti con il mercato e con la Borsa, come il Corriere della Sera, che è profondamente cambiato rispetto a cinquant’anni fa. Il Corriere è oggi in buona salute, con un equilibrio finanziario complesso ma con un’ampiezza e una qualità dell’informazione generale mai viste prima. Per il lettore di oggi, il Corriere appare più completo de la Repubblica e più aperto al dibattito politico.
Il Corriere resta il giornale della finanza, forte di una potenza propria. La Repubblica è entrata in questa logica e vi resterà. Tutto il resto è stampa locale, spesso controllata da gruppi finanziari di medio livello. A Napoli, Il Mattino è ormai un modesto giornale locale, con una redazione ridotta all’osso e spazi di cronaca interna ed estera condivisi con Il Messaggero.
In questo panorama preferisco il Corriere della Sera, pur mantenendo una mia autonoma valutazione dei fatti. L’utopia di Scalfari si è estinta, ma il giornalismo di schieramento non è morto. Al contrario: è vivo, ha senso e ha ancora forza.
G. M.
