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Ponza, dove mi portano il cuore e la mente

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C’è un proverbio o un detto popolare a Ponza, la più grande con i suoi 7,22 Kmq e l’unica abitata  del gruppo delle Ponziane – attenzione si chiamano “ponziane” e non “pontine” come sottolinea il decano degli storici locali, Ernesto Prudente – che comprende anche Palmarola (1,36 Kmq), Zannone (1 Kmq),  e l’isolotto di Gavi (14, 06 ettari) -  che dice che “in ogni casa ponzese c’è un Silverio, una causa ed un emigrato”. Il detto popolare racchiude bene la tradizione, il costume o la mentalità ed infine la situazione economica e sociale.

San Silverio, la popolazione, la sanità, la scuola  ed i collegamenti

San Silverio è il santo  patrono. Papa e martire giustiziato a Ponza  nel 538. Quando l’isola fu ripopolata nel XVIII secolo, con l’editto del 1734  di Carlo III di Borbone che concedeva gratuitamente per la coltivazione la terra  “a migliorare” a  52 famiglie dell’isola d’Ischia guidate dal contadino  del villaggio di Campagnano Mattia Mazzella, la Chiesa “impose” San Silverio come protettore ed assegnò  gli isolani alla Diocesi di Gaeta e da allora Silverio è diventato il nome più comune, la devozione verso San Silverio attecchì subito e si rafforzò e continua fortemente ancora oggi. La festa di San Silverio del 20 giugno è il più importante evento religioso e spettacolare di Ponza.

Per quel giorno tutta l’isola è in festa. Si apre l’estate il cui solstizio per pura casualità avviene un giorno dopo. Arrivano appositamente i turisti e soprattutto gli emigrati  nei ponzesi nelle Americhe, nelle altre isole del Mediterraneo, in altre parti d’Italia e  nei Paesi dell’Europa. Oggi Ponza conta una popolazione ufficialmente residente di circa 3300 abitanti ma d’inverno, che qui socialmente comincia molto presto quasi con l’equinozio d’autunno del 21 settembre, la popolazione residente si dimezza. L’istruzione pubblica consiste in una scuola elementare, una scuola media, ed un istituto superiore di ragioneria che è una sezione distaccata dell’Istituto Tecnico Commerciale Filangieri di Formia. L’intera popolazione scolastica è di circa 200 alunni. La sanità pubblica consiste in un pronto soccorso che non può nemmeno definirsi una “medicheria da campo”. In compenso c’è una “elisuperfice” cioè un campo di atterraggio per l’elicottero di soccorso che trasporta il malato nell’ospedale di Formia che è il centro sul continente al quale Ponza è ormai irreversibilmente legata da quando nel 1931 dopo 197 anni  le isole del gruppo  ponziano – Ponza e Ventotene  furono  sottratte alla Provincia di Napoli   ed assegnate alla nascente Provincia di Littoria, poi diventata Latina nel 1952. Il ponzese deve andare anche per una semplice radiografia a Formia, il centro laziale di circa 36mila abitanti  distante 36 miglia marine da Ponza. La nave traghetto – prima della Caremar ed oggi dal 1 giugno della Laziomar, la società pubblica regionale che deve assicurare il collegamento con Ponza e Ventotene – impiega circa 3 ore mentre l’aliscafo dimezza la durata della traversata. I collegamenti marittimi ritenuti “essenziali” sono minimi ridotti a due corse al giorno ed in pieno caos istituzione per la riorganizzazione della società Tirrenia dalla quale dipendevano le ex-società cosiddette regionali per le isole minori italiane. E’ chiaro che in queste condizioni di vita – anche al tempo della rivoluzione dell’informatica e della telematica – l’isolano, anche il non credente, deve insistere nella protezione divina per l’intercessione di San Silverio per sopravvivere.

La “causidicità” dei ponzesi e la vivibilità

Ritorno a Ponza dopo due anni, dal mio primo viaggio con Gianni Vuoso dal quale è nato il reportage su “Ponza, l’altra Ischia” apparso sul numero dell’ottobre 2009 de “La Rassegna d’Ischia” ed il video “Il viaggio di Mattia” che si può consultare e scaricare su www.ischianews.com con il quale abbiamo voluto non solo “scoprire” ed approfondire la colonizzazione ischitana di Ponza avviata nel 1734 ma riallacciare dopo decenni di abbandono i legami umani e culturali con i nostri “cugini” isolani-ponzesi  che hanno tenacemente mantenuto e che mantengono tutte le tradizioni, a cominciare dal dialetto che è una lingua, gli usi ed i costumi trasferiti 277 anni fa  dal gruppo dei 120 colonizzatori ischitani,  poverissimi contadini e pescatori che lasciavano la loro isola-madre, la più grande e più popolata del Golfo di Napoli già allora da circa 20 mila anime affidate alla cura di 420 preti per un’altra disabitata e lontana  col miraggio di possedere un pezzo di terra.

Anche questa volta è l’ultima occasione annuale. E’ l’ultima domenica di questo caldissimo agosto.  C’è solo un collegamento estivo, una sola corsa, nei soli mesi di luglio ed agosto, dell’aliscafo della società privata SNAV e nei soli giorni di sabato e domenica tra Ischia e Ponza che tocca anche Ventotene, l’isoletta di appena 1,54 Kmq con circa 700 abitanti posta a 18 miglia da Ischia ed altrettante da Ponza della quale abbiamo parlato lo scorso anno nel nostro reportage “L’isola di Altiero” apparso su “La Rassegna d’Ischia” dell’ottobre 2010 e nel nostro video  con lo stesso titolo che si può vedere su www.ischianews.com.

Parto dal porto di Casamicciola alle 9 con l’aliscafo della SNAV al comando del capitano Davide Baldari e sarò a Ponza in poco meno di due ore con lo scalo a Ventotene che è sulla stessa rotta  annunciando il mio arrivo con una telefonata ai miei due “cugini-ponzesi”, il mio omonimo Giuseppe che ha 61 anni, dottore in legge, giornalista e cultore di storia patria come me e Silverio, 60 anni, cartografo, scrittore, fotografo, l’unico libraro di Ponza con la sua libreria “Il Brigantino” e come me cultore di storia patria. Ci siamo lasciati il 24 ottobre 2010 alla Villa Arbusto di Lacco Ameno dove abbiamo allestito la mostra “Ri-conoscere Ponza” e loro sono venuti per la prima volta ad Ischia così come per la prima volta dopo 275 anni la “nuova” Ponza  si presentava agli ischitani. Fu un momento emozionante e commovente e segnò la rinascita di un sentimento reciproco di appartenenza ad una sola Comunità, ad una sola grande famiglia del popolo minuto che aveva conquistato la scrittura e la lettura. Abbiamo deciso da allora non solo di incrementare questi rapporti affettivi ma di riprendere i collegamenti umani e di proporre la nascita di un Distretto Turistico-Industriale, come sono stati fatti in Sicilia, delle 5 isole abitate “comunque napoletane” Capri, Procida, Ischia, Ventotene e Ponza  che non solo rinsaldasse questi legami che si vanno progressivamente allentando ma che offrisse, nell’ottica di una economia solidale, nuove opportunità di sviluppo economico e di occupazione giovanile con l’integrazione di economie turistiche ipermature -  come quelle di Capri ed Ischia – con quelle da sostenere e potenziare come quelle di Procida, di Ventotene e Ponza. Insomma un progetto che unisce il cuore alla mente capace di coinvolgere 11 Comuni, 2 Province, 2 Regioni  e le rispettive società civili e forze imprenditoriali e sociali al tempo della valorizzazione dei “sistemi locali di sviluppo” che vengono indicati dall’Unione Europea  come strumento per massimizzare le opportunità di crescita delle aree del nostro Mediterraneo.

Arrivo a Ponza e vado immediatamente da Silverio  al Brigantino dove con la inseparabile moglie, Pina Di Meglio, ponzese anche lei ma anche lei di origini ischitane perché  i suoi avi venivano da Barano che gli ischitani chiamano “Marecoppe”, Silverio è intento a servire i suoi clienti e dopo il primo abbraccio Silverio immediatamente mi fa dono della sua ultima opera che ha realizzato con il figlio Gennaro, un bellissimo volume fotografico, storico, antropologico su Ponza Palmarola e Zannone che Silverio ha intitolato “Isole nella corrente” come  il libro di Ernest Hemingway con il programma di realizzare altri 9 volumi per presentare compiutamente “i ponzesi nella storia, nelle tradizioni, nel folclore, nella leggenda”.

Giuseppe arriva puntuale alle 11 e dopo l’abbraccio senza perdere un minuto Giuseppe mi porta con la sua vecchia Ford  a vedere da terra tutta Ponza affinchè io possa avere un’idea più precisa della bellezza, delle potenzialità, delle criticità, dell’isola.

Giuseppe mi dice che nei prossimi mesi sarà nominato Giudice Conciliatore di Ponza. Dice: “Sarà un’opportunità per ritornare ogni settimana a Ponza” (vive con la moglie ed i figli  in una cittadina laziale vicino Formia ed anche lui è un emigrato che ha dovuto lasciare l’isola amata per lavoro). Gli ribatto che durante il suo breve soggiorno ad Ischia, solo due giorni, ci fu con lui una amica ponzese-americana che mi disse  del proverbio o del detto popolare. I ponzesi discendenti dagli ischitani non potevano non essere “causidici” o “causaioli”. La sezione distaccata del Tribunale di Napoli ad Ischia, ex-Pretura, ha circa 20 mila processi  e gli avvocati del foro sono oltre 400. Ischia è la località che fa più cause d’Italia. Ponza non può essere da meno poiché è nella natura dell’isolano essere attaccato alla terra, alla casa, alla cosa, conseguite con tantissima fatica.

L’emigrazione e le nuove opportunità

 

Nel 1931 la popolazione di Ponza era di 6.827 abitanti. Il massimo storico dell’espansione demografica. 50 anni dopo nel 1951 la popolazione era scesa a 3.210, quasi dimezzata. Nel 2001 ultimo censimento la popolazione risulta di 3.110 abitanti. L’emigrazione è stata enorme. Oggi ci sono più ponzesi nel mondo che a Ponza. Nella sola New York – mi dice Giuseppe – ci sono almeno 30 mila ponzesi  che discendono dagli emigranti  del primo Novecento. Vivono soprattutto nel Bronx ed hanno la loro chiesa di San Silverio e festeggiano il santo una settimana dopo i festeggiamenti di Ponza. Hanno mantenuto i loro legami con l’isola di origine e con i parenti rimasti qui. Quando possono ritornano.  I cognomi più diffusi tra gli emigrati sono Mazzella e Vitiello così come a Ponza.

“I Mazzella qui a Ponza sono oltre 900 e siamo superati solo dai Vitiello che sono oltre 1000” mi dice Giuseppe. I Vitiello sono i discendenti della seconda colonizzazione, quella dei torresi di Torre del Greco. Nel 1772, 38 anni dopo la prima colonizzazione. Re Ferdinando di Borbone succeduto a Carlo III concedette terreni a 27 famiglie di pescatori provenienti da Torre del Greco che si insediarono in località Le Forma a circa 7 chilometri dalla cittadella del porto dove nella Baia di Santa Maria si erano insediati gli ischitani. Oggi nella frazione di Le Forna vivono circa 1000 abitanti. Fra le due comunità di origine – “gli ischitani” che stanno soprattutto a Ponza-Centro ed i “torresi” di Le Forna – non corre buon sangue. E’ una rivalità caratteriale come quella che abbiamo ad Ischia tra “foriani” e “panzesi” ed anche qui i “lafornesi” si lamentano di essere trascurati  dai “ponzesi-centrali”. L’isola di Ponza ha tre chiese e due preti. La Parrocchia di San Silverio, la chiesa di San Giuseppe a Santa Maria e quella della Madonna dell’Assunta a Le  Forna. La prima del Santo Patrono risale al XVIII secolo ma le due altre risalgono al XIX secolo. C’è perfino una pubblicazione sui canti e le preghiere per le liturgie nelle chiese di Ponza che si chiama “Ponza è tua”. Sono preghiere e canti che affondano le loro radici nella tradizione cattolica napoletana. L’origine contadina dei “ponzesi-ischitani” e quella peschereccia dei “ponzesi-torresi” è rimarcata anche dal modo di onorare San Silverio. Anche nella Chiesa dell’Assunta c’è una statua di San Silverio che si festeggia in febbraio cioè quando i pescatori ponzesi restavano a casa, mi spiega Giuseppe. Nel territorio di Le  Forna insisteva la miniera di bentonite funzionante dal 1935 al 1976. La miniera dava lavoro a circa 800 ponzesi ma distruggeva il territorio. Era gestita dalla società “SAMIP” di proprietà di industriali romagnoli ed è stata chiusa nel 1976. L’area di circa 40 mila mq. con i ruderi è stata acquisita al patrimonio del Comune di Ponza. Ha scritto Giuseppe, il mio cugino-ponzese, nel blog “Ponzaracconta” costituito da un gruppo di intellettuali locali per  risvegliare l’interesse per la storia di Ponza ed indicare soluzioni per migliorare la vivibilità e lo sviluppo dell’isola che oggi “l’area della ex-miniera è una sorta di terra di nessuno, landa devastata e abbandonata all’incuria, una vera ferita che a 35 anni dalla chiusura ancora sanguina e non trova soluzione”. L’ho voluta vedere, quest’area abbandonata quasi per convincermi sempre di più che ogni isola napoletana ha un “problema perpetuo” che ferisce o addirittura incancrenisce il sistema economico e sociale impedendone l’ulteriore espansione. Ponza da 35 anni ha il problema dell’utilizzazione degli spazi dell’ex-miniera; Ventotene dell’utilizzazione dell'ex-carcere di Santo Stefano; Procida dell’utilizzazione dell’ex carcere ed Ischia nella mia Casamicciola  il recupero e la nuova destinazione del maestoso complesso del Pio Monte della Misericordia, 55mila mc. su 24 mila mq. abbandonati, in rovina, brutti, sporchi e cattivi da 37 anni in piena  zona termale, nell’isola più termale del mondo, nella più antica cittadina termale dell’isola d’Ischia che fa turismo termale fin dal XVI secolo!!!!!

Questi “problemi perpetui” e fondamentali debbono essere messi insieme e risolti, dico a Giuseppe, proponendo una Conferenza Programmatica delle “isole napoletane” oltre la divisione in due Regioni per dare più forza al dibattito sui problemi e gli accenno all’importanza del Comune, della sua classe dirigente poiché il Testo Unico sugli Enti Locali prevede all’art.120 le Società di Trasformazione Urbana (STU)  per l’acquisizione e l’utilizzazione delle aree industriali o ricettive dismesse. Ponza dovrebbe fare una STU per la ex-miniera così come i Comuni di Casamicciola e Lacco Ameno ad Ischia  per il complesso Pio Monte della Misericordia ed ex. La Pace e così Procida e Ventotene  per gli ex-penitenziari. L’integrazione fra le isole significa integrazione di progetti e di sviluppo diversificato con l’utilizzazione della  tanto propagandata “sussidiarietà” degli enti superiori – la Provincia, se serve a qualcosa, le Regioni, il Governo Centrale e per finire all’Unione Europea se è anche interventi “sociali” ed “economici e politici” e non solo “finanziari”. L’Europa di Altiero Spinelli non era questa e Spinelli l’avrebbe rinnegata.

Ho voluto vedere con Giuseppe in sei ore  i panorami più belli di Ponza. Sono rimasto incantato alla vista di Palmarola  da Le Forna, di Cala Feola, del Frontone, delle piscine, di un mare azzurro che tanto più azzurro non si può. Qual è l’isola più bella? Mi chiedeva la mia amica di Facebook  Annemarie Vitiello, una ponzese-americana che sta trascorrendo un lungo periodo di vacanze a Ponza scattando  stupende fotografie della sua isola. Non ho risposto. Chi può rispondere avendo visto Capri, Ischia, Procida, Ventotene, Ponza? Non sono tutte  bellezze diverse e complementari da vedere e da amare?

Ma ho voluto vedere anche il brutto poiché una Comunità al tempo di oggi deve vivere nel proprio luogo 12 mesi all’anno e non solo uno o due e deve avere i servizi della Civiltà ed ho potuto avvertire  quanto ancora si può e si vede fare per dare una matura economia turistica ed una vivibilità adeguata ai tempi  a Ponza utilizzando tutte le opportunità di legge  con una progettualità entusiasmante e rivoluzionaria che comunque è imprescindibile da una nuova classe dirigente – politica ed economica  -  che sappia cogliere la sfida del presente. Domani è già tardi.

Conoscenze e ritorno

Giuseppe mi ha fatto conoscere la sua anziana madre e le sue tre sorelle di cui  una  che  vive negli Stati Uniti d’America  e mi ha fatto vedere la sua antica casa paterna tanto simile alla casa di mio nonno con  la grotta con il palmento per la lavorazione del vino ed il recinto per la coltivazione dei conigli. Gli ischitani hanno portato il loro modo di vivere qui circa tre secoli fa e tutte le tradizioni sono continuate per secoli. Nel racconto della storia di Ponza ci si imbatte contro il vuoto del Medio Evo. C’è una storia antica della grandiosa colonizzazione romana e dopo l’abbandono. Tutto riprende dal 1734. Dico a Giuseppe che voglio conoscere prima di andar via questi quattro gatti sognatori che scrivono della loro piccola isola come se stesse al centro del mondo. Voglio conoscere Ernesto Prudente, Franco De Luca, Sandro Russo. Li trovo infatti alle 17, un’ora prima di partire, seduti al bar Welcome sul porto. Ernesto Prudente è stato maestro elementare alla scuola di Ponza. Ha scritto molti libri su Ponza. Oggi ha 82 anni. Mi regala i suoi ultimi tre libri “Scorribande”, “costumanze antiche” e “le avventure di Pinocchio in dialetto ponzese” che è molto simile al dialetto che ancor oggi si parla ad Ischia Ponte o Borgo di Celsa. Franco De Luca ha 65 anni. E’ stato direttore didattico anche a Ponza. Ha scritto libri e poesie e sempre Ponza al centro della sua opera. Sandro Russo ha 65 anni ed è medico in pensione ma appassionato della terra dei suoi avi.

Espongo loro il progetto del Distretto Turistico perché se non si ripristina il collegamento con Napoli, la nostra Grande Capitale con le sue luci e le sue ombre ma dalla quale noi attingiamo le tradizioni ed i dibattiti, tutto il patrimonio antropologico di Ponza scomparirà  poiché la Storia è fatta dagli uomini e non dalle rocce. Ponza diventerà poco meno o poco più di un costoso “villaggio turistico” nel mezzo del Mediterraneo per poco più o poco meno di 60 caldi giorni dell’anno. Scomparirà anche il dialetto o la “parlata” ed i libri di Ernesto Prudente e di Franco De Luca resteranno testimonianze di una lingua morta.

“Senza  Storia non c’è avvenire! ”grida Ernesto Prudente nella presentazione del suo libro  “Costumanze Antiche”. Silverio Mazzella chiude il suo meraviglioso volume, atto di attaccamento completo  alla  sua isola per tutti i giorni dell’anno e la durata della vita il cui testo è stampato con la sua stessa grafia quasi per rimarcare il valore di una dichiarazione di amore, così:

“La prima parte finisce qui. Si è voluto presentare le isole di Ponza, Palmarola e Zannone nel loro aspetto ambientale e naturalistico. Si direbbe oggi la location dove si sono svolte le vicissitudini che hanno interessato quello sparuto gruppo di pescatori provenienti da Ischia e da Torre del Greco a partire dal 1734. Arrivarono su questa isola ancora deserta e in preda a saccheggi saraceni determinati a realizzare il sogno della loro vita. Alcuni rinunciarono subito altri non contenti cercarono altri lidi. Quelli che rimasero acquisirono  una propria natura, un proprio modo di vivere, un proprio dialetto,  diventarono ponzesi”.

Lo sono anch’io. Nel cuore e nella mente.

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