Due ecosistemi completamente diversi, quello terrestre e quello marino, che vanno descritti, valutati e approfonditi singolarmente, evitando sovrapposizioni e commistioni fuorvianti e inappropriate. In apertura del terzo incontro di Isole Vive, il corso di formazione per operatori turistici promosso dall’Area Marina Protetta “Regno di Nettuno”, il professor Giancarlo Carrada.
ha voluto ancora soffermarsi sulle caratteristiche specifiche di ciascuno di essi, proseguendo il discorso che aveva iniziato la volta scorsa. Senza trascurare di sottolineare come si debba tener sempre conto del contesto nel trattare qualunque fenomeno, che altrimenti non sarebbe neppure vero, e facendo attenzione a non applicare al mare la conoscenza della terraferma, giacchè sono realtà distinte.
E, sempre proseguendo l’approfondimento del tema della biodiversità, Carrada ha esposto le attività umane che hanno ripercussioni negative sull’ambiente marino. La pesca, per cominciare, perché produce la distruzione di popolazioni locali e provoca l’alta mortalità accidentale di specie diverse da quella da catturare, ovvero quel fenomeno noto come bycatch che sta provocando danni enormi in tutti i mari, basti pensare alle conseguenze dello strascico, che sconvolge interi habitat, o alle distruzioni indotte dalla pesca proibita dei datteri di mare.
Altro fattore negativo è l’inquinamento, che ha un forte impatto sulla fascia costiera, spesso minacciata da una inesorabile erosione; che provoca un’incidenza sempre maggiore di patologie tumorali tra la fauna marina, incrementandone la mortalità; che riguarda anche i fondali profondi, utilizzati per il dumping seas, ovvero il seppellimento in mare di rifiuti tossici e scorie nucleari, con un pesantissimo impatto a mare anche nel lungo periodo.
Poi ci sono le specie aliene: ogni anno più di tremila specie diverse viaggiano da un mare all’altro nelle acque di sentina delle grandi navi, da minuscole particelle di zooplancton a esemplari ben maggiori. Una volta scaricate con l’acqua nei luoghi di approdo, il loro impatto sugli equilibri preesistenti e sulle specie locali può essere pesantissimo. Gli esempi sono tanti: dall’invasione di vongole filippine, che hanno soppiantato le vongole veraci, alla scomparsa della grande popolazione di acciughe del Mar Nero, sterminata dallo ctenoforo Mnemiopsis, la noce di mare.
A chiudere la serie il global change, il cambiamento climatico che sta impattando sul delicatissimo e complesso scambio tra la superficie del mare e i primi strati dell’atmosfera con conseguenze sugli habitat marini.
Nel suo spazio dedicato alla conoscenza del Regno di Nettuno, attraverso un percorso fotografico animato dalle magnifiche immagini catturate nei fondali tra Ischia, Procida e Vivara, il ricercatore e fotografo subacqueo Guido Villani ha illustrato stavolta i meccanismi di adattamento alimentare di alcune creature marine e l’interdipendenza che si crea tra predatori e prede.
Sorprendenti, delle minuscole lumachine colorate si nutrono di alghe verdi e ne incamerano le cellule che servono per la fotosintesi clorofilliana, per utilizzarle a loro volta a proprio vantaggio. Altri piccoli molluschi, sfruttano lo stesso meccanismo, che consente loro, all’occorrenza, di aprire i mantelli, del colore delle alghe che mangiano, trasformandoli in una sorta di pannelli fotovoltaici da cui trarre energia. E tra i pesci erbivori, le sarpe, si nutrono di foglie della Posidonia, vivendo all’interno delle praterie.
Tra i carnivori, c’è il grosso pesce mangiameduse, che vive in associazione con le meduse che sono sue prede, ovvero le cosiddette vespe di mare. All’apice della catena alimentare, le cernie se ne stanno acquattate tra gli scogli per uscire all’improvviso a catturare polpi, calamari, saraghi che con un risucchio ingoiano interi. Una tecnica usata anche da dentici, scorfani e altre specie ittiche. Invece, i pesci che prediligono fondali sabbiosi, come sogliole e rombi, sorvegliano da sotto la sabbia il passaggio delle prede, per poi scattare al momento giusto. Mentre le triglie scavano sul substrato con i barbigli bianchi per trovare vermi e crostacei.
I polpi hanno elaborato un sistema ingegnoso per costringere i molluschi bivalvi ad aprirsi in modo da poterli estrarre dai gusci. I paguri eremiti che si insediano nelle conchiglie, fanno muovere le attinie che ci sono ancorate garantendogli più possibilità di nutrirsi e, al tempo stesso, si proteggono dai tentacoli urticanti delle attinie. E ci sono predatori, come alcuni molluschi, che nel nutrirsi dei polipetti del corallo, si impadroniscono delle loro cellule urticanti, sistemandole sui propri gusci per utilizzarle contro i loro predatori: usano, dunque, i sistemi di difesa delle loro prede.
Poi ci sono pesci che si nutrono anche di pesci morti o i nudibranchi mucca di mare che rodono la superficie delle spugne. E sia le murene che le cernie usufruiscono dei servigi di gamberetti che ripuliscono le loro bocche e che, in cambio, lasciano vivere.
Meraviglie dell’evoluzione e dell’adattamento delle specie che si osservano anche a basse profondità tra le rocce, sotto la sabbia, nel folto posidonieto del Regno di Nettuno.