Ischia News ed Eventi - Animali e natura

È Marzo ed è tempo di fiere. Quando si dice fiere, nel settore vitivinicolo Italiano, si pensa immediatamente al Vinitaly, lo storico appuntamento veronese giunto alla 46° edizione dove ogni anno migliaia di aziende presentano le loro ultime produzioni (nuovi vini o nuove annate di vini già affermati).

Da qualche anno, però, la settimana fieristica si è arricchita di due eventi che da tempo incrociano l'attività di Vignaviva, lo studio di consulenza vitivinicola coordinato da Fortunato Sebastiano con la collaborazione di Gennaro Reale. Dal 24 al 28 marzo 2012 in Veneto allora non solo Vinitaly ma ViniVeri, ritrovo del Consorzio Viniveri (a Cerea, da sabato 24 a lunedì 26 marzo) e VinNatur (negli stessi giorni a Villa Favorita a Monticello di Fara, Sarego).

Non potrebbe essere meglio descritta l’atmosfera che si è respirata  domenica scorsa, 4 marzo 2012, durante l’escursione, organizzata dai soci ischitani della sezione di Napoli del CAI (Club Alpino Italiano). La giornata, inserita nel calendario delle attività annuali della Commissione Regionale di Escursionismo del CAI, ha previsto il seguente itinerario: da Campagnano a Monte Vezzi, passando per  Piano Liguori. I partecipanti, circa una trentina, in parte arrivati da Napoli e da Procida ed in parte isolani si sono  ritrovati alle 11 presso la piazzetta di Campagnano, dove sono stati accolti dai referenti ischitani  della sezione Francesco Mattera e Giovannangelo De Angelis. Verso le 11.20 il gruppo si è messo in marcia verso il sentiero totalmente a strapiombo sul versante  sud/orientale dell’isola, il più antico da un punto da vista geologico.

Il percorso è iniziato costeggiando la splendida Baia di Cartaromana in fondo alla quale sono ancora visibili i resti di “AENARIA” la vecchia Ischia Romana sommersa. Si è proseguiti poi per un agile sentiero a strapiombo su varie insenature, lungo il quale confluiscono e catturano l’attenzione i terrazzamenti ripidissimi coltivati a vigneti.  I vitigni ischitani qui godono di un microclima favorevole, anche rispetto ad altre zone isolane, per l’esposizione ad Est Sud-Est, per la presenza del particolare suolo, fertilizzato dalla cenere vulcanica e  per l’abbondanza delle precipitazioni stagionali. Per questo motivo le piante possono essere disposte sui filari in modo da crescere in altezza, ottimizzando le risorse ivi presenti, energie e spazio. In un attimo si è giunti a Piano Liguori: qui si ha la sensazione di vivere in un luogo senza tempo. Case arroccate, tante abbandonate o semiabbandonate, sono attualmente abitate da un paio di famiglie, mentre fino ad una cinquantina di anni  fa vi risiedevano più nuclei familiari.

Ero giovanissima, quando cominciai a sentire la necessità di passeggiare nei sentieri, sulle colline, nelle campagne ricche di vigneti. L’istinto mi guidava verso le case abbandonate, dove c’erano piccoli agglomerati di abitazioni rurali. Fatiscenti, scheletrici, ma vivi nonostante l’abbandono. Apparivano come dei templi sacri, immobili, fieri, misteriosi. Dai cui tetti in parte crollati filtrava il sole, oppure si intravedevano le nuvole. Anche le pietre che si staccavano dal soffitto e dalle pareti, sparse in ogni dove, apparivano come sculture ricche di simboli, da decifrare secondo un antico codice. L’erba e i cespugli crescevano sui muri, gli intonaci erano anneriti dalla pioggia e dal tempo. Nonostante tutto, si percepiva ancora la presenza di quelle persone che avevano vissuto in quei luoghi, distanti dal mondo civilizzato e frenetico.

Il tramonto era passato da un paio di ore ed una signora da poco ospite della nostra isola mi chiedeva a quale paese corrispondessero le luci che si vedevano verso il mare. “Signora quello che vede sono lampare, sono le luci dei pescatori di totani”.

Spinto da un inguaribile senso di nostalgia, ricordo quando da ragazzino provai la prima emozione nell’uscire in barca di notte con mio padre e mio zio Pierino,regalando a me e mio cugino Checco un dono dal valore incalcolabile fosse soltanto per averci permesso di conservare negli occhi e nel cuore le immagini e le sensazioni di quei momenti. Notti intere in mare aperto dove tutto quel buio avrebbe reso inquieto anche l’animo più audace. Vedere solo il nero dell’acqua e sentire il rumore cadenzato e assordante del motore del gozzo ti induceva al silenzio totale, che si rompeva solo quando arrivavi sul posto prescelto. Appena il motore veniva spento, come per magia, riprendevi possesso anche della tua mente, e finalmente potevi parlare, bardati come i pescatori delle acque del nord: maglioni, cappelli, calze “perché la notte l’acqua di mare ti entra nelle ossa”.

Quando per la prima volta sentii parlare di Candiano e della grande quercia che, come sentinella imponente vigilava su quella pianura ricca di vigneti e ruderi, la curiosità mi spinse ad allungarmi con la mia cinquecento mezza sgangherata fino a Buonopane, piccola frazione di Barano. Una vicina di casa di origine Buonopanese me ne aveva parlato spesso, con entusiasmo e con profonda nostalgia, al punto che avevo cominciato ad immaginare quella località nella quale aveva vissuto un'infanzia serena, e dove gli abitanti della zona si riunivano in primavera sotto la grande quercia per raccontare le storie di munacielli e lupi mannari.

Anche se non era la prima volta che passeggiavo tra sentieri, case contadine e alberi giganti, rimasi incantata nell' ammirare la maestosa quercia, generosa, con le sue forti braccia che pareva volessero abbracciare e proteggere gli uomini di buona volontà dalle follie del mondo. Il tronco era immenso, con le radici completamente nude, contorte e nodose, ricche di rilievi, sporgenze, incavi. Si aveva l'impressione che un grande maestro con lo scalpello avesse voluto creare sovrapposte sculture creando indefinite e strane figure di animali, piante, figure umane, montagne, colline. Sembrava un mondo in miniatura nel quale ci si poteva immergere fino a raggiungere le viscere della Terra. I contadini del posto non erano avvezzi a veder passeggiare persone sconosciute in quel regno di pace e di silenzio.

6.1 Il racconto di una storia incompiuta

La storia della nave “infame[1] ha inizio un giorno ignoto di un anno sconosciuto di molti secoli fa.

Il racconto ha il suo incipit in un preciso istante di esattamente trenta anni fa. Ha una conclusione, ma la parola FINE deve essere ancora scritta.

L’attimo iniziale scatta quando un giovane proveniente da Oxford, il tempio degli studi classici, osserva a casa di Alexander McKee[2], esploratore subacqueo e prolifico scrittore di storia nautica, alcuni cocci di chiara origine sottomarina e riconosce l’ansa di un’anfora etrusca[3].

I frammenti di anfore, una macedonia archeologica di epoche diverse, sono souvenir di immersioni lontane nel tempo: “early ’60, Giglio Island, Tuscany, Italy”.

Sabato il 01.Ottobre 2011 sarà consegnato al famoso mineralogo, petrologo e vulcanologo Professor Dottor Hans Pichler dell’Università di Tubinga l’attestato di benemerenza per le sue opere. La cerimonia si svolgerà alle ore 10:00 presso l’ex osservatorio geofisico di Casamicciola Terme. Hans Pichler nacque nel 1931 e da molti anni è asseverato come uno dei più famosi vulcanologi del mondo. Appena trentenne iniziò la sua carriera accademica presso l’appena instituito Istituto Vulcanologico di Catania, sotto la direzione dell’ancora più famoso vulcanologo Alfred Rittmann. Presso l’istituto Vulcanologico scoprì la sua passione per i vulcani.

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