L'esperienza artistica di Taki si muove tra Egeo e Tirreno, si sviluppa e si consolida tra questi due mari; due isole, due terre che hanno in comune tanto ma, soprattutto, emblematico un fiore: la rosa.
Rodi, l'isola delle rose, e Forio che porta nel suo gonfalone una rosa. Due posti di mare, una stessa cultura che data millenni, legata alla vite ed all'ulivo ma ancor più presente nella gente coi loro volti cotti dal sole e dalla salsedine; popoli accomunati nel senso innato dell'ospitalità; educati nella ritualità del gesto, ad accogliere chi viene dal mare per trovarvi porto.
E non sembri superfluo ricordare che hanno in comune l'arte e la tecnica di lavorare le argille, nel loro significato ancestrale e totemico: dare la vita, soffiata la creta, per poi testimoniarla nel tempo, tramandarla nelle forme più varie, con le sue valenze magiche e rituali nel pratico e nel votivo.
Taki vive questa contezza e la declina in una teoria di acqua e di luce; di una luce che diventa ancora più luminosa dove il mare gira tutt' intorno a ricordarti la sua superiorità, essenzialità: la sua pregnanza che si fa categoria: un demone nell'accezione classica, che ti fa capire e leggere le forme ed i colori sin nell'intimo; forme e colori che si esaltano proprio grazie alla cornice d'acqua che li amplessa, li nullifica potenziandone il discrimine nelle tonalità delle stagioni che si alternano, talvolta capricciosamente, in questa osmosi tra terra e mare.
Le sue opere in terracotta e maiolica ricordano in maniera smaccata ed inequivocabile una lezione - ripeto - che viene da molto lontano a raccontarsi, raccontandoci, per una cultura autoctona dove l'implesso fabrile rappresenta una costante nell'attività propria dell'uomo che per motivi diversi ha sentito sempre il bisogno di produrre, creare per dare testimonianza di sé, lasciare il segno, così sentirsi direttamente parte dei processi creativi che lo vedono nello stesso tempo artefice e fruitore dell'opera prodotta.
Il lavoro di Taki affonda, con scelte ed itinerari originali, in tutta la variegata produzione dell'attività "fittile" degli antichi popoli mediterranei, sia per l'identificazione dei temi come nelle soluzioni di impianto e di sviluppo della figura.
Nelle sue opere c'è un gioioso srotolarsi della vita, legato alla quotidianità nei tempi di sempre; una serenità del gesto sia che racconti un fare, un agire; sia che parli, in solitudine, di un atteggiamento intimista, raggomitolato su se stesso, paradigmato certamente, senza l'inquietudine enigmatica tipica di certo psicologismo di maniera. Dal pannello alle statuine presepiali - ricordano in maniera impressionante le statuette bronzee votive di Vunus (Cipro), raccolte nei sacri recinti cultuali all'interno di una coppa, risalenti al 2500-2000 a. Cr.), - a momenti più raccolti nella ritrattistica ed ancora nei motivi più strettamente ornamentali o di cornice - riferiti al mondo vegetale o a lineari geometrizzazioni - promana una istintiva felicità di approccio, in una freschezza di immagini, a dirci di una raggiunta e naturale semplificazione e dimestichezza del gesto e del segno, in uno stile compendioso che mira all'essenza di ciò che va rappresentando, al di là di implicanze tematiche imitative o leziosità gratuite, spesso frutto di un mero, narcisistico esotismo illustrativo finalizzato al sensazionale piuttosto che al sostanziale.
I colori maiolicati sono vivi, mai azzardati o audaci, sono nella tradizione più ragionata e proprio nella lezione della scuola artistica locale, quando certamente riferita ad un raggio ad ampio spettro che travalica i pur marcati, artisticamente, parlando, confini dell'insularità ischitana.
Carattere aperto, solare si riflette nel suo lavoro, nei temi raccontati attraverso figure ed ambientazioni di assai contigua evocazione ed ancora nell'originalità delle soluzioni plastiche che assumono forme di facile ed immediata cattura.
Le sue donne sono radicate in una oleografia affettiva ben visibile; parte viva di una tradizione che le vuole svolgere ruoli definiti ed ormai consolidati nella cultura dei popoli mediterranei.
Donne nelle loro forme matute, lontano da ogni sensualità o capriccio; presenze corpose e pregnanti - questo sì - nella vita del bambino, dell'uomo: presenze vissute come figlio, amante, compagno; donne e ma-donne. Figure nei loro vestimenti, atteggiamenti innocenti nella naturalezza del nudo che non si compiace del dettaglio perché la mano dell'artista le modella nella immediata linearità delle forme che si sviluppano senza incertezze o compiacenze, in un disegno organizzato in volumetrie solide che sanno di arcaico e, proprio per questo, più suggestive nella evocazione della lettura e del messaggio a parlarci di koinè elladica.
Il racconto di Taki, con i suoi 50 anni, ci riporta a Rodi (1947); poi ancora giovanissimo (madre greca, padre foriano) si trasferisce a Forio dove certamente nel volgere degli anni non gli mancheranno le occasioni di capirsi, leggendosi dentro ed in questo aiutato dai tanti artisti che conosce e frequenta la sua giovane età.
Quella curiosità per l'arte diventa passione, si fa sacro fuoco nel momento in cui mette la laurea nel cassetto ed apre "bottega".
Come nella migliore tradizione, continua a frequentare ambienti artistici e lo fa con una insaziabile voglia di apprendere, con una tenacia tale che lo porterà a bruciare le tappe.
A Roma ('75- 76) fa esperienza in un laboratorio di ceramica; poi segue con attenzione le lezioni ed i suggerimenti amorevoli di Luigi Martorelli, senza peraltro trascurare le estati foriane sempre ricche di stimolanti e suggestive presenze, oggi datate, che hanno rappresentato e dato molto a quanti che, come Taki, con la loro arte, conferiscono decoro alla nostra isola.
di:Pietro Paolo Zivelli