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L'eremita dell'epomeo

Vista dalla vetta del Monte Epomeo

Storia
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Quelle giornate d'inverno erano fredde, soprattutto con il vento di tramontana che soffiava da settentrione. Il cielo terso di un azzurro intenso e il mare profondamente blu trasmettevano euforia, voglia di stare all'aperto per esplorare i sentieri e la montagna maestosa e invitante.

Era bello pensare a una meta felice e raggiungere, con sforzo fisico, la cima dell'Epomeo e l'Eremo di S. Nicola, il tempio sacro, il ricovero nel quale Frà Giovanni, l'ultimo eremita dell'Epomeo, trascorreva il suo tempo nella completa solitudine, nel silenzio che gli avvolgeva l'anima e gli inebriava i sensi e l'intelletto.

Ero felice di arrampicarmi per la mulattiera con la bisaccia, dentro la quale sistemavo l'acqua e la frutta, il pane, la sciarpa e i guanti di lana.

Ero entusiasta di vivere una giornata parrticolare e incontrare, strada facendo, i contadini che raccoglievano la legna, curavano i loro vigneti e armeggiavano nei cellai scavati nel tufo, ricchi di cunicoli, ragnatele, botti, tini e dal particolare e penetrante odore di vino e di muffa.

Tutt'intorno c'erano ruderi, sentieri, castagneti, casette sparse dalle quali, attraverso i comignoli, si spandeva profumo di legna ardente e di cibo cotto in pentola di creta.

Percorrendo la mulattiera si poteva deviare attraverso una scalinata di pietra dove c'era un poggio panoramico/dal quale si poteva ammirare 1'orizzonte lontano, i casolari e i villaggi rurali sparsi d'ogni intorno. Sembrava quest'ultimo un luogo sacro, con la sua piccola grotta, il grosso Crocifisso scolpito nella pietra, numerose e ampie rocce levigate dall'acqua e dal vento con sporgenze, rientranze, feritoie e altri effetti particolari, apparendo quasi come sculture dalle rare forme, ricche di suggestione e di fascino.

Un boschetto di lecci poco distante, si allungava fino alla torre del Falco, l'antica torre di avvistamento ormai in rovina, sui cui i merli avevano costruito il proprio nido. C'era una sorgente d'acqua fresca e limpida che sporgeva da dna pietra di tufo a forma di delfino. Il sole filtrava attraverso i lecci e penetrava nella terra umida, sulle foglie ingiallite. Da quel luogo si poteva intravedere la vetta dell'Epomeo ed il terrazzino nel quale, Frà Giovanni, essiccava il grano e trascorreva gran parte delle sue giornate.

Il sentiero era caratterizzato da rocce, anfratti, grotte, fino al punto in cui si giungeva ad una grande pietra di tufo verde nella quale erano stati scavati dei gradini che portavano in cima. Lo sguardo si spingeva in lungo e in largo, dai vigneti ai boschetti di castagno.

La vetta del monte appariva da quel punto in tutta la sua maestosità, selvaggia e misteriosa.

Era l'ultimo sforzo da sostenere per essere poi ricompensati dalla natura che si offriva tenera e forte, ricca e carezzevole e impenetrabile. Il profumo del pane, cotto dall'eremita nel grande forno a legna, sembrava dare il benvenuto al turista, al pellegrino, al curioso, all'uomo in cerca di se stesso. Nel cortile antistante l'eremo e la chiesetta di S. Nicola, Frà Giovanni, con disarmante e schietta semplicità, accoglieva coloro che si avventuravano fin lassù, dove il cielo si poteva toccare quasi con mano.

La presenza dell'anziano frate che conosceva bene la montagna e ne custodiva i segreti più nascosti, appariva come una visione arcaica, dove mistero e magia si fondevano con il paesaggio circostante creavano un'atmosfera irreale. Era bello sedersi sulla scalinata di pietra dell' antica chiesa di S.Nicola, ascoltare il sibilo del vento, le voci e il suono della natura, gustare un pezzo di pane appena sfomato/mentre Frà Giovanni, con voce pacata, raccontava storie e parlava del raccolto, trasmettendo una serenità completa, del corpo e della mente.

Anche il suono della vecchia campana, sfiorata dal vento, contribuiva a creare armonia e pace. Con il crepuscolo e il freddo pungente della sera bisognava avviarsi a valle, per fare ritorno a casa.

Accomiatarsi da Frà Giovanni e da quel suo mondo di pietre rocce, cespugli e profondi silenzi, diventava difficile e triste. Intanto la montagna e il suo singolare custode, ancora una volta, avevano compiuto il miracolo.

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