Se manca l’abitabilità, l’acquirente che ha firmato il compromesso può rifiutarsi di rogitare, ossia di firmare il contratto definitivo dal notaio.
Se, solo dopo la firma del compromesso l’acquirente della casa si accorge che manca l’abitabilità, questi può recedere dal contratto e rifiutarsi di firmare il rogito dal notaio. Con la conseguenza che può pretendere la restituzione di tutte le somme già pagate a titolo di caparra o di acconti e, se riesce a dimostrare di aver subito un danno (ad esempio per la perdita di altre proposte contrattuali o per i costi del trasferimento), può esigere il risarcimento. Difatti, come abbiamo già spiegato nella guida Che succede se manca l’agibilità della casa?, se manca l’autorizzazione del Comune a poter abitare l’immobile il contratto è viziato. È quanto ricorda una recente sentenza del Tribunale di Trento [1]. Ma procediamo con ordine e vediamo che fare se manca il certificato di agibilità della casa che si vuole acquistare.
Se al compromesso manca l’agibilità dell’appartamento l’acquirente può tirarsi indietro e non è costretto a fissare l’appuntamento dal notaio per il rogito. Difatti, il compromesso – o più tecnicamente detto «contratto preliminare» – altro non è che un impegno irrevocabile a comprare (per l’acquirente) e a vendere (per il proprietario dell’immobile). Non ci si può tirare indietro, salvo che per valide ragioni come, appunto, la scoperta di difetti dell’appartamento che erano stati celati in sede di firma del compromesso stesso. E, di sicuro, la mancanza di agibilità, in quanto condizionante l’utilizzo del bene secondo lo scopo che gli è proprio (viverlo e abitarlo), è un vizio che consente lo scioglimento dell’impegno (cosiddetta «risoluzione del contratto»). Quindi, tradotto in termini pratici, il potenziale acquirente potrà scrivere una lettera raccomandata al proprietario della casa chiarendogli la propria posizione e l’intenzione di considerare «risolto» il compromesso per via dell’inadempimento del venditore; nello stesso tempo, potrà diffidarlo a restituirgli i soldi già versati a titolo di caparra e di acconti. In difetto di ciò potrà recarsi da un avvocato che, esperito il tentativo di mediazione, agirà in tribunale per ottenere il rimborso delle somme predette ed, eventualmente, anche il risarcimento del danno.
La Cassazione [2] ha spesso detto che «la mancata predisposizione dei certificati di agibilità, di abitabilità e di conformità alla concessione edilizia rappresentano condotte omissive tali da configurare un inadempimento di non scarsa importanza atteso il fondamentale interesse dell’avente causa ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la sua tipica funzione economico – sociale e a soddisfare i bisogni che lo hanno indotto all’acquisto, e cioè la fruibilità e la commerciabilità del bene, per cui i predetti certificati devono ritenersi essenziali». Il venditore è tenuto infatti a trasferire l’immobile con tutti i certificati di abitabilità, di agibilità, e di conformità alla concessione edilizia, necessari a garantirne la piena fruibilità. In caso di mancata predisposizione di tale documentazione si ha un inadempimento contrattuale che consente all’acquirente di rifiutarsi di stipulare il contratto definitivo innanzi al notaio (cosiddetto rogito). «Il rifiuto del promissario acquirente – dice la Corte – di stipulare la compravendita definitiva di un immobile privo dei certificati di abitabilità o di agibilità, e di conformità alla concessione edilizia, pur se il mancato rilascio dipende da inerzia del Comune – nei cui confronti peraltro è obbligato ad attivarsi il promittente venditore – deve ritenersi giustificato».
Quello che abbiamo appena riferito è l’orientamento ormai costante della Cassazione. La particolarità della sentenza del Tribunale di Trento, qui in commento, è che si riferisce non a un contratto di compravendita, ma di permuta. Si pensi al caso in cui il proprietario di un terreno conceda al costruttore il diritto di superficie sullo stesso (e, quindi, la facoltà di edificarvi di sopra un palazzo, dei garage, delle villette, ecc.) in cambio della proprietà di una o più unità abitative.
Secondo i giudici di primo grado, il principio espresso dalla Suprema Corte, secondo cui il contratto preliminare di compravendita è risolvibile per mancanza dei certificati di abitabilità, «può essere esteso anche al caso del contratto preliminare di permuta, avuto riguardo all’identità dell’interesse sotteso ad entrambe le tipologie contrattuali, e cioè l’interesse dell’avente causa alla piena fruibilità e commerciabilità del bene immobile dedotto in contratto».
note
[1] Trib. Trento, sent. n. 155/17 del 13.02.2017.
[2] Cass. sent. n. 10820/2009.