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La fedeltà dell’isolano all’isola

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“La fedeltà dell’isolano all’isola non è campanilismo perché si estende ai fiori, ai frutti, alle rocce ed al modo stesso di affacciarsi sull’ “elemento nemico”e cioè il mare”.

Lo trovai scritto molti anni fa – credo addirittura mezzo secolo fa – in un elzeviro sul “Corriere della Sera” scritto da Niccolò Tucci (1908-1999). La citazione è a memoria e può darsi che non sia del tutto corretta. Ma a me rimase impressa. Ero un ragazzino “isolano” di  poco più di 10 anni invogliato dalla sua professoressa alle scuole medie – tradizionali con il latino dal primo al terzo anno – a leggere il giornale che “è fonte di cultura”. La nostra professoressa – Angiola Maggi Malagoli – ci disse che “il giornale conteneva  in terza pagina le notizie culturali e sulla sinistra appariva un racconto breve che si chiamava elzeviro”.

L’elzeviro è un carattere tipografico, nitido ed elegante ideato nel XVI secolo dalla famiglia di tipografi e editori olandese Elzevier e creato  per loro dall’incisore Christofel van Dyck  e nella stampa italiana del Novecento il termine  prese il posto a indicare l’articolo di apertura della Terza Pagina. Solitamente era un pezzo di critica letteraria o teatrale oppure una riflessione erudita su un tema di attualità o di costume. (Wikipedia).

Quel racconto breve di Tucci  divenne per me da allora un chiodo fisso nella Memoria e nell’azione. Cominciai da allora a capire la mia identità: ero un isolano.

Tutto quanto potevo conoscere nel mondo mi veniva dato dalla terra dove battevo i piedi e tutto quanto c’era oltre quella terra mi veniva impedito di raggiungere dal mare. Forse per questa ragione questo scrittore poco noto di cui non mi parlava nessuno dei miei maestri definiva il mare l’”elemento nemico”. Perché “nemico”?  D’estate non sapevo vivere senza il mare. Fuggivo da casa a prima mattina e diventavo “scugnizzo” sulla banchina del porto di Casamicciola a chiedere ai turisti sul vaporetto di “buttare 10 lire a mare” perché ero capace di prenderle a volo nella “lotta” con i miei coetanei. Qualche volta vincevo ed altre perdevo.

Quando passava l’estate ed arrivava l’autunno e poi l’inverno il mare diventava furioso. Le onde arrivavano fino ad inondare la Piazza della Marina. Con l’autunno e l’inverno tutto si immalinconiva. Le conoscenze estive svanivano. Il ristorante “Ciritiello” già alla fine di settembre toglieva l’iscrizione: “stasera pizze”. Non avrei più mangiato la pizza per  almeno 8 mesi.

Ma a gennaio già arrivavano le giornate di sole. Così – eludendo il controllo  di mia madre – andavo sulla spiaggia di Suor Angela, mi toglievo le scarpe ed i calzini e mettevo i piedi a mare quasi per sollecitare l’estate a venire presto.

Questa “identità di isolano” me la porto dentro, me la sono sempre portata. Crescendo ed avendo avuto la fortuna di incontrare grandi Maestri ho potuto ancor meglio apprezzare la testimonianza di quelle del prof. Edoardo Malagoli chiamava “le pregnanze antiche” della mia  isola d’Ischia che ho posto al centro del mondo, non solo per il suo patrimonio naturale essendo l’isola Madre dei Golfi di Napoli e Gaeta per geografia e storia, ma per la sua “storia vivente” cioè per gli abitanti che oggi sono circa 65 mila e che nel XVIII secolo, quando un gruppo di 52 famiglie guidate dal contadino del villaggio di Campagnano nel Comune di Ischia, Mattia Mazzella, forse mio progenitore, andò a colonizzare l’isola di Ponza a 44 miglia da Ischia, erano già 16mila con 400 preti che oggi sono soltanto 36 mentre gli alberghi sono diventati 400 per circa 40 mila posti-letto con 3mila imprese e 13mila lavoratori iscritti al collocamento di cui almeno 1000 extracomunitari.

Se la Storia mi affascinava e mi affascina m’impegnava e m’impegna studiare il sistema economico e sociale della mia isola e proporre ed agire per migliorarlo.

Conoscendo altri “isolani” di questo meraviglioso micro mondo di isole napoletane – Capri, Procida, Ischia, Ventotene, Ponza – ho scoperto che le sensazioni che provavo io sono largamente condivise da isolani di nascita e di adozione e che per ciascuno di essi – di ieri e di oggi – la propria isola è al centro del mondo ed è la più bella in una sorta di  permanente competizione  come quella che vivevamo da ragazzini  come  pretendenti della più bella ragazzina della nostra classe.

Ho voglia di conoscerle tutte le “mie” isole perché sono a casa mia in ognuna di loro, mi sento in ognuna di essere come un novello Axel Munthe o Mattei o Rittmann o Buchner o Haller e tantissimi altri. Sono ancor più isolano perché sono anche e profondamente “napoletano”e sono altrettanto legato al Continente come alla mia isola perché crescendo ho scoperto che il mare ci unisce pure al continente non solo ci separa.

Forse Tucci voleva dire questo quando affermava che questa “fedeltà non è campanilismo”. Non saprei vivere senza i panorami della mia isola, i fiori ed i frutti della mia campagna e del mio giardino, gli  scogli e le sabbie ma amo anche quelli delle altre mie isole e sogno di rivedere Chiaia di Luna a Ponza e la villa di Axel  Munthe a Capri ecco perché credo da economista che occorre oggi realizzare un unico Distretto Turistico da Capri a Ponza delle “isole napoletane” sia per rendere fruibile questo “sistema di isole napoletane” a tutti i turisti che hanno meno tempo di ieri per le loro vacanze sia, soprattutto, per tutti gli “isolani” che avvertono questa “fedeltà” consapevolmente o inconsapevolmente.

Sogno? Tucci nella sua autobiografia dice di essere nato prima del suo tempo ed in una conferenza in America ai giovani disse che  bisogna “prima imparare a scrivere come se fossi già morto e allora scoprirai che tu puoi scrivere come se fossi ancora vivo”.

Amen.

Casamicciola, 7 agosto 2011

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