C’è una amarezza molto forte per chi - come me – ha seguito per oltre quaranta anni la cronaca politica locale e regionale con radici, logicamente, in quella nazionale ed europea, con una chiara identità politica – l’area laica e socialista, antifascista ma “acomunista” come Riccardo Lombardi, ex azionista e socialista di sinistra, definiva se stesso – di fronte alla realizzazione storica dell’Istituto Regionale.
Da cronista dalla chiara identità politica - che veniva accusato , insieme alla nostra generazione di giornalisti locali del ‘ 49 Domenico Di Meglio,neofascista e Gianni Vuoso, comunista, di essere un giornalista locale perché “politico mancato” da chi oggi , proprio per uno scherzo della storia fa il giornalista dopo aver fatto il politico – ho fermamente creduto nella “Repubblica delle Autonomie”. Il potere doveva essere posto nelle tre istituzioni locali previste dalla Carta Costituzionale: il Comune, la Provincia e la Regione. La Regione soprattutto avrebbe dovuto essere il grande ente legislatore e programmatore capace di estendere le frontiere della sovranità popolare. Il Comune doveva stare al centro della Democrazia. Nel caso della nostra isola d’Ischia i sei Comuni potevano ben rappresentare le storiche comunità locali con un Ente Intermedio – la Provincia – capace di “coordinare” tutto quanto era intercomunale. La Regione doveva fare solo le leggi e la programmazione e doveva “delegare le funzioni amministrative” ai Comuni ed alla Provincia.
A vent’anni – cioè 43 anni fa – quando incominciavo a fare il cronista locale frequentando l’Università di Napoli alla Facoltà di Economia e Commercio e mi iscrivevo al Partito Socialista – le mie convinzioni erano queste.
43 anni dopo come stanno le cose? Come è stato “praticato” da tutte le classi politiche il decentramento amministrativo dello Stato? Si deve avere il rimpianto per il vecchio Stato centralizzato che decideva tutto a Roma – nel Governo e nel Parlamento – e rendeva soltanto “esecutivi gli ordini” alle Province ed ai Comuni che avevano buoni amministratori locali? Che fine ha fatto la “moralizzazione della vita pubblica”, la “lotta agli sprechi”, l’“onestà assoluta degli eletti nelle assemblee elettive?"
La Regione Campania NON E’MAI STATA UN ENTE DI PROGRAMMAZIONE. Cioè non è mai stata quell’ente locale che doveva essere. Non si deve sottovalutare che le Regioni nacquero nel 1970 – 22 anni dopo l’approvazione della Costituzione - e su insistenza dei socialisti i quali imposero la nuova politica di programmazione economica e di pianificazione territoriale.
In 43 anni la Regione Campania non ha dato una civile, possibile, concreta, politica di pianificazione territoriale all’isola d’Ischia. La Provincia è stata progressivamente svuotata di funzioni rilevanti (la gestione degli ospedali psichiatrici per esempio) mentre le sono state assegnate funzioni residuali da passacarte e senza avere alcuna autorevolezza nel “coordinamento” tra i Comuni. La Regione Campania fin dal 1990 avrebbe potuto legiferare in materia di ridefinizione dei 92 Comuni della Provincia di Napoli, avrebbe potuto conferire deleghe complete alla Provincia in materia di pianificazione trasformandola in “Città Metropolitana”. Non l’ha fatto ed è diventata un “grosso Municipio o una grossa banca” che distribuisce perfino i contributi alle chiese e che non è stata capace di dare all’isola d’Ischia nemmeno una decente e democratica Azienda di Cura, Soggiorno e Turismo, definita con un eufemismo“ente strumentale”.
Se il passato insegna qualcosa possiamo dire che oggi e domani questa Regione Campania con queste classi politiche della prima e seconda Repubblica non farà alcuna scelta. Sarà incapace anche di costituire la “Città Metropolitana” cosa che un decreto di spesa del Governo le impone di fare entro il 2013.
Il prof. Massimo Villone ha scritto di recente su “La Repubblica-Napoli (giovedì 13 settembre 2012) un articolo dal titolo: “A che cosa serve il campanile” dove sottolinea- intervenendo sulla protesta della Provincia di Benevento che dovrebbe essere accorpata ad Avellino – che “i campanili non sono un valore positivo in sé, soprattutto quando si va a un riassetto complessivo degli apparati pubblici sul territorio. Si pensa forse di costruire la città metropolitana difendendo i campanili? E’proprio questa la prospettiva da superare. Non si può governare non scontentando nessuno, né si può governare guardando anzitutto al consenso quotidiano”. E’un concetto evidente ed è proprio perché le classi politiche campane non hanno voluto scontentare nessuno che non sono state capaci di avviare né la programmazione né il riassetto istituzionale. Così la Regione Campania in merito alla soppressione di due o tre Province non adotterà alcuna decisione e dovrà essere il Governo ad esercitare i poteri sostitutivi o addirittura il nuovo Parlamento ad abolire tutte le Province italiane con due soli livelli di governo locale.
La Regione Campania già da ora può deliberare – proprio perché deve costituire la “Città Metropolitana” con i piccoli comuni da inglobare nel nuovo ente che unirà il Comune e la Provincia di Napoli e ne deve escludere altri come le isole di Capri, Ischia e Procida che non sono “area metropolitana” – sul Comune Unico dell’isola d’Ischia se questo è necessario per il nuovo assetto amministrativo. Non ha bisogno di nessun altro Referendum popolare che del resto è solo consultivo e non deliberativo. Indire un nuovo Referendum per il Comune unico è un’inutile spreco di danaro pubblico e di tempo e nasconde la reale volontà di non decidere come ieri.
Villone chiude il suo articolo su “La Repubblica” auspicando che “prima che al campanile guardiamo alla cattedrale”.
Non trovo di meglio per estenderlo alla realtà amministrativa dell’isola d’Ischia.
Casamicciola, 27 settembre 2012-09-27
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