Un giornalista di “periferia” mi definisce Gino Barbieri. E’ proprio così. E’ stato proprio così per circa 50 anni. Sono un giornalista “locale e “provinciale” – e “provinciale” ha il doppio senso di essere stato “corrispondente da centri minori”, come viene considerata l’isola d’Ischia dal contratto di lavoro giornalistico, con compensi modestissimi, ed aver lavorato per 26 anni come funzionario responsabile dell’ufficio stampa della Provincia di Napoli, il terzo Palazzo della Città dopo la Regione ed il Comune, con 8 presidenti ed un centinaio di assessori.
Nel giornalismo “locale” ho fatto di tutto – dalla cronaca bianca a quella nera, dal corsivo all'editoriale – perfino il “sindacalista” promuovendo una Assostampa delle isole di Ischia per difendere e migliorare la dignità e la professionalità dei giornalisti “locali” trattati con insopportabile sufficienza dai redattori e capi dei grandi giornali cittadini. Ma sono stato soprattutto un giornalista di “Agenzia”. “Il giornalista è un mestiere umile”, affermò Eugenio Scalfari ricevendo anni fa il Premio Ischia di Giornalismo. Detto da lui – il più egocentrico giornalista italiano – sembra la predica di un prete che ha l’amante al matrimonio di due sposini. Ma l’affermazione è vera. Fare il giornalista è sempre un impegno civile da svolgere con umiltà e con la responsabilità della confezione e diffusione della notizia.
Richiede quindi non solo capacità di scrivere in un buon italiano (ma qualche errore ci scappa spesso!) ma anche di avere buona istruzione e buona cultura. Prima ancora che l’Unione Europea imponesse l’“educazione permanente” l’inglesismo, malattia contagiosa del giornalismo italiano è “lifelong learning”, per tutte le professioni i giornalisti la facevano da anni. Ma il caso della notizia del terremoto dell’isola d’Ischia del 21 agosto 2017, come spiega Gino Barbieri, nel libro “Sisma nell’isola d’Ischia – Tutta la Verità – la Cronaca-Le Storie – le Prospettive” di imminente uscita, ripropone ancora oggi la questione del buon giornalismo e della banalità del giornalismo italiano. E’ ancora più “umile” il lavoro del giornalista di agenzia perché non appare nemmeno la firma nel ”lancio” ma solo una sigla e quanto hai lanciato una notizia o un servizio vengono ripresi dai giornali ed anche firmati dai redattori o collaboratori semmai senza toccare una virgola. Ma il giornalista di agenzia – corrispondente da un centro importante come Ischia con una popolazione di circa 64mila abitanti e con una ricettività turistica di circa 50mila posti-letto che ne fanno la più importante località turistica della Campania – passa dalla cronaca di un importante convegno di medicina o di economia alla notizia di nera dell’omicidio o al resoconto di una importante assise politica.
Ne deriva che hai occasione - o almeno l’avevi quando non c’era Internet - di acquisire molte “competenze” che prima non avevi. Ho fatto il giornalista di Agenzia per l’AGI (Agenzia Giornalista Italia) e l’ANSA (Agenzia Nazionale Stampa Associata) le due più importanti agenzie nazionali. L’ho fatto per rimanere nel giornalismo “attivo” ma ho trasferito il modello e stile dell’Agenzia nel mio principale lavoro alla Provincia di Napoli sotto la presidenza del compianto prof. Amato Lamberti, il miglior Presidente che ho avuto, con la trasformazione dell’“ufficio stampa” in “agenzia stampa” negli anni – 1995-2002 – del cosiddetto “Rinascimento napoletano”. Comincia con l’AGI nell’estate del 1978. Mi proposi al capo della redazione napoletana, Eugenio Ciancimino, che lavorava insieme a Salvatore Testa, per fare dei servizi sulla frana dei Maronti in cui morirono 5 turisti stranieri. Arrivai tardi sul posto ed il mitico Michele Regine “Bacchettone” che faceva i servizi per “Il Mattino” e per l’ANSA mi scherni dicendo che ormai avevano già dato tutte le notizie. Non mi persi d’animo.
Cominciai a spiegarmi perché c’era stata quella frana. Telefonai al prof. Giorgio Buchner per conoscere di che materiale erano fatti i costoni e Buchner mi disse che erano costituiti da “detriti di tufo”. Poi scoprii per caso che un geologo locale, Saverio Toma, aveva qualche mese prima inviato una relazione tecnica al Sindaco Cenatiempo su sua richiesta. Mi feci rilasciare una dichiarazione da Saverio e feci di Toma il “geologo più famoso d’Italia” perché la mia intervista fu ripresa da tutta la stampa mondiale. Ogni volta che ci vedevano con il compianto Saverio Toma ricordavamo quel suo momento di notorietà. Fu Saverio che mi parlò della natura geologica autentica dell’isola d’Ischia che aveva scoperto Alfred Rittmann nel lontano 1930. Da allora cominciò la mia attenzione per la natura del sottosuolo dell’isola d’Ischia. I discorsi di politica ed economia che portavo avanti per la Pianificazione Territoriale e la Programmazione Economica, attinenti alla mia formazione culturale economica e politica, non potevano prescindere da quella che veniva chiamata la “cultura della sicurezza”.
Da qui il mio interesse per l’assetto idrogeologico e la frequentazione e l’amicizia con il prof. Giuseppe Luongo ed il suo gruppo di studio. Ho presentato i 4 libri fondamentali di Luongo e del suo gruppo dedicati alla sismologia ed al vulcanesimo dell’isola d’Ischia. Dell’ANSA sono stato corrispondete con la sigla WO5 per 26 anni. Dal 1980 al 2006. Poi la chiusura del rapporto, non amichevole, perché mi si chiedevano cose che non volevo fare, coprire notizie che non volevo fare come raccogliere il dolore in un momento drammatico di una persona. La prima parte del libro di Gino Barbieri è dedicata alla descrizione dello spavento e del dolore, della straordinaria solidarietà per salvare la vita di tre bambini, dell’eroismo dei vigili del fuoco e l’altruismo di Riccardo che “può sembrare a prima vista un fenomeno inverosimile da trovare sul mercato della vita, specie ai tempi di oggi, contrassegnati da un egoismo schifoso”, della morte di due donne e del miracolo della salvezza per “intercessione del Parroco Santo Don Giuseppe Morgera” del giovane Agostino Iacono.
E’ la parte più bella e commovente del libro dove Gino dimostra la sua eccezionale bravura di cronista di razza che utilizza il cervello ed il cuore scrive come ha sempre fatto da 50 anni con estrema chiarezza chiamando le cose con il nome appropriato senza eufemismi. Ricorda Thornton Wilder ne “Il ponte di San Luisi Rey”. Nel 1714 il ponte di San Luis Rey, che per oltre un secolo è stato la più importante via di collegamento per gli abitanti di Lima e Cuzco, in Perù, crolla improvvisamente, causando la morte di cinque persone. Fra Ginepro, un frate che si accingeva ad attraversarlo, assiste all'accaduto e, sconvolto dalla tragedia, inizia a porsi delle domande di carattere religioso e morale: chi erano quei cinque e perché si trovarono proprio lì? Cercando di risalire alle cause del crollo del ponte, la curiosità lo porta a ricostruire le vite dei cinque morti nel tragico evento: avevano qualcosa in comune? Nasce un problema morale su cui si pronuncia anche la Chiesa e che chiama in causa la Provvidenza: si è trattato di una tragedia o di una punizione divina, che ha fatto incrociare i destini dei cinque nel medesimo luogo alla medesima ora? Il Signore punisce così i malvagi oppure in tal modo chiama a sé gli innocenti? I quesiti, posti sull'eterna condizione umana e sulla morte, sulla misteriosa complicità di caso e destino, rimarranno inevasi.
E’ un libro che Montanelli consigliava di leggere a tutti i giornalisti perché uno dei pochi capolavori di questo secolo. L’ho letto la prima volta circa 30 anni fa su indicazione di Piero Ottone ma dopo ogni tragedia ho voglia di rileggerlo e vado a rileggere il finale: “Presto moriremo ed ogni memoria di quei 5 sarà scomparsa dalla terra, e noi stessi saremo stati amati per breve tempo e poi dimenticati. Ma l’amore sarà bastato; tutti quei moti d’amore ritornano all’amore che li ha creati. Neppure la memoria è necessaria all’ amore. C’è un mondo dei viventi ed un mondo dei morti e il ponte è l’amore, la sola sopravvivenza, il solo significato”. Ma c’è anche il racconto del “cinismo della stampa italiana” che immediatamente parla di “abusivismo edilizio” senza conoscere un minimo di storia dell’isola d’Ischia, una delle tre aree vulcaniche del napoletano. Ed ancora questo minimo di storia sismica non è conosciuto nemmeno da chi lavora nell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) che dà notizie sballate sull’epicentro e le reazioni del prof. Enzo Boschi ma soprattutto le precisazioni del prof. Giusepe Luongo.
Ed ancora il triste elenco degli sfollati e dei danni privati e pubblici. Il dramma umano della antica Comunità del Majo che subisce ancora una volta come da 8 secoli lo stradicamento dai luoghi colpiti dal terremoto. Come è nello stile e nella storia umana e professionale di Gino Barbieri non mancano le forti denunce per una classe politica incapace di governare i Comuni, della necessità di una profonda svolta politica ed economica ed indicare veramente e concretamente un nuovo Rinascimento non solo di Casamicciola, ancora una volta la più colpita, ma dell’intera isola d’Ischia che da questa terribile vicenda deve trarre la lezione per una unità amministrativa, economica, sociale e culturale. Questo libro diviene quindi fondamentale e imprescindibile per una “buona Ricostruzione” ma addirittura per un nuovo modello di sviluppo per l’intera isola d’Ischia. Abbiamo prima di tutto un immenso dramma umano di circa 3mila persone tra Casamicciola, Lacco e Forio che hanno perso la casa. Hanno perso tutto. 800 bambini di Casamicciola hanno perso anche la scuola. Decine di attività imprenditoriali sono state chiuse.
Lavoratori che hanno perso il lavoro. Migliaia di persone debbono mettere in sicurezza sismica la loro casa. I danni economici, sociali, culturali sono incalcolabili. Ci aspetta come sopravvissuti un compito immane. Dobbiamo chiedere aiuto alla Repubblica Italiana, una ed indivisibile, all’Unione Europea, a quanti amano l’isola d’Ischia. Non possiamo essere “moderati”. Ricordo quel giornalista americano ottocentesco che dirigeva un giornale contro la schiavitù e che si chiamava “Il Liberatore”. Su certi argomenti non si può essere “moderati”. Provate a chiedere ad un uomo che ha la mano presa dal fuoco di gridare “aiuto!” con moderazione”.Si deve essere – ed è questo penso sia il messaggio dell’impegno civile di Gino Barbieri di tutta una vita con questo infinito Amore per Casamicciola, la Terra dei Padri – duri come la Verità ed intransigenti come la Giustizia.