Anni fa, la sua esistenza era ancora segnalata da qualche cartello stradale. E in settembre, lungo il tratto in cui era allora ancora visibile, si ammiravano delle spettacolari fioriture gialle. Eppure, il RIO CORBORE era noto soprattutto per la sua foce al Lido, già identificata come una sorta di cloaca che sversava il suo carico nauseabondo direttamente in mare.
Problema rimasto tristemente attuale, in compenso le fioriture settembrine sono completamente cessate da quando il corso del fiume è stato interamente coperto. E così il Rio Corbore è stato trasformato dall’uomo in un corso d’acqua sotterraneo, in gran parte invisibile, che è il presupposto per farne dimenticare perfino l’esistenza e condannarlo all’invisibilità. Tutti motivi che hanno reso particolarmente interessante la conferenza su “ORIGINE ED EVOLUZIONE DEL BACINO IDROGRAFICO DIRIO CORBORE” del presidente del Centro Studi sull’Isola d’Ischia Antonino Italiano, presso l’auditorium dell’Istituto Comprensivo “Antonio De Curtis” di Barano. Il Comune nel cui territorio nasce e si sviluppa gran parte del bacino del Corbore, che poi si estende anche nel confinante territorio ischitano. Italiano ha ricordato i cinque bacini imbriferi ischitani e le diversità climatiche e pluviometriche tra le diverse zone dell’isola, sottolineando anche l’alternarsi di annate più secche ad altre umide. Rispetto ad un altro corso d’acqua nella parte meridionale dell’isola, l’Olmitello, il Corbore ha un bacino meno ampio e con molte meno ramificazioni, il che lo rende decisamente peculiare. IMG_1584 La foce del Rio L’illustrazione del suo corso è partita proprio dalla foce al Lido, di cui si vede lo sbocco, chiuso da una porta basculante che si alza quando piove e c’è bisogno di far defluire la maggiore quantità d’acqua, che finisce direttamente in mare. Una immagine dall’alto mostra come siano scaricati in mare anche i materiali che naturalmente determinano il ripascimento del litorale fino a Punta Molino, anche se in misura assai ridotta rispetto al passato, prima che il rio fosse imbrigliato dal cemento e attraversasse parti di territorio fortemente antropizzate. Scorre ancora il fiumiciattolo a regime torrentizio (dunque dipendente dalle piogge), sotto via Ferrante d’Avalos e, risalendo il suo corso, sempre sotterraneo, si arriva in via Michele Mazzella, dove lo si nota al di sotto di un viottolo all’altezza della sede Eav, sul’altro lato della strada. Prima, quel ramo del fiume si riversava nel parco delle Ginestre, per poi essere assorbito dalle lave dell’Arso. Superata la Piripissa, ai Pilastri, il rio torna parzialmente visibile per un brevissimo tratto. Lì riceve l’acqua di un torrente che scende dallo Spalatriello, una sorta di affluente, oltre alle acque che arrivano da Monte Vezzi e Arenella. Sempre più a monte si giunge a Cava Nocelle, dove torna a giorno e riceve le acque che scendono da Montevergine e e che si raccolgono a Cava Molara. In quel tratto il rio scorre in un tubo di acciaio dal diametro più stretto del canale che arriva da monte. Si crea in quel punto, perciò, una strozzatura che potrebbe rappresentare un problema, nel caso in cui il rio dovesse ingrossarsi molto per effetto delle piogge. Un’opera che non è realizzata altrettanto bene rispetto al lungo percorso che invece il fiume compie in un canale ben sistemato e pavimentato con un selciato successivo all’alluvione del 1910, quindi risalente al secolo scorso. Ancora un lungo percorso tombato e, ricevendo un contributo d’acqua dalla Cesa, s’inoltra nel cimitero di Piedimonte, dove buona parte della larghezza del canale, il letto del torrente, è stata occupata dalla strada, lasciando uno spazio molto limitato all’acqua e ai detriti che essa trasporta, con un serio rischio di esondazione nel caso di un incremento della portata del rio. Un altro ramo del fiume, poi, passa sotto tutto il centro di Piedimonte e poi per via Terranera. Andando oltre si arriva alla Costa Sparaina e Monte Trippodi, dove il bacino del Corbore ha origine. IMG_0402 Sotto ai Pilastri scorre… Siccome la pendenza del fiume non è costante, lungo il suo corso si segnalano diverse “zone di riposo”, in corrispondenza dei tratti pianeggianti. Dove il Corbore ha creato terreni da riporto particolarmente fertili. Lungo la zona costiera di Ischia, per esempio, in parte poi ricoperta dalla lava dell’Arso all’inizio del ’300, che ha separato il floridissimo Pontano dalla la zona del Lido fino a San Pietro. Altra “pianura” formata dal rio è a Fondo Bosso, mentre ai Pilastri doveva aver creato una sorta di palude. Insomma, il Corbore, correndo fra gruppi di colline a est e a ovest, ha contribuito alla formazione di terreni all’interno e al ripascimento dei litorali lungo la costa, fin quando non si è verificata la forte antropizzazione dei luoghi. La storia del Corbore è stata funzionale ad una più ampia ricostruzione delle caratteristiche geologiche salienti dell’isola, alla luce delle ricerche più recenti, condotte con tecniche e metodologie scientifiche più avanzate, che hanno fatto chiarezza su aspetti controversi. Italiano ha descritto i cambiamenti geologici degli ultimi 150mila anni, anche se i fenomeni vulcanici di maggior impatto, che hanno inciso sulla morfologia dell’isola, sono concentrati negli ultimi 15mila anni. Quelli che tra eruzioni, sollevamenti e sprofondamenti hanno cambiato volto a Ischia. Che durante le glaciazioni era parte integrante, come Procida, della costa flegrea e del continente. Prima di diventare isola.