«Meglio avere una molteplicità di specie che una molteplicità di individui della stessa specie». La frase è di San Tommaso d’Aquino, dunque decisamente antica rispetto al dibattito quanto mai attuale sull’argomento, ma sintetizza alla perfezione il senso e il valore della biodiversità sul nostro pianeta. Argomento principale e filo conduttore del secondo incontro di Isole Verdi, il corso di formazione per operatori turistici organizzato dall’Area Marina Protetta Regno di Nettuno.
È partito da lontano anche il professor Giancarlo Carrada, per spiegare come l’agricoltura nella storia umana sia andata nella direzione opposta, concentrando tutte le risorse sulle specie di volta in volta selezionate perchè più utili o vantaggiose per i bisogni dell’uomo e contrastando quelle ritenute inutili o addirittura nocive per le colture. Peraltro, la parola “specie” indica semplicemente un concetto, mentre nello studio della natura è più appropriato parlare di individui che formano popolazioni. E la popolazione rappresenta il patrimonio della biodiversità, infatti la distribuzione delle popolazioni attiene al mantenimento della diversità biologica in un habitat.
Se la biodiversità, poi, determina il funzionamento di un ecosistema, l’impoverimento dell’ecosistema si riflette negativamente anche sulla biodiversità, che ne costituisce un fattore di stabilità. Perciò il proteggere le specie non può prescindere dalla preservazione del loro habitat. Peraltro, l’uomo è sempre presente nel sistema, nel cui equilibrio entra con la forza dirompente che lo caratterizza.
BIODIVERSITA’ VEGETALE E FARMACI
Carrada ha sottolineato che esistono motivi etici e sociali per preservare la biodiversità. E si è soffermato, in particolare, sulla necessità di salvaguardare la biodiversità vegetale anche in funzione della disponibilità di prodotti medicinali utili all’uomo. Basti pensare che ogni 125 piante tropicali ce n’è una che fornisce sostanze medicamentose e che il valore complessivo di queste sostanze naturali è di 200 milioni di dollari l’anno. Solo negli Usa il 74 per cento dei farmaci di maggior consumo si basa su principi attivi di origine vegetale. Mentre tra i prodotti di sintesi chimica, si rivela utile solo una sostanza su diecimila testate. Un divario enorme! Se si considera, dunque, che nella fascia tropicale scompare una specie vegetale al giorno, a volte senza che sia stata neppure ufficialmente scoperta, vuol dire che vanno perdute almeno tre o quattro sostanze potenzialmente curative all’anno, con una perdita di 600 milioni di euro. Custodi del 90 per cento della biodiversità vegetale sono i popoli indigeni, ma la distruzione sistematica degli habitat, come la foresta amazzonica, mette a serio rischio la sopravvivenza del patrimonio vegetale così come condanna alla scomparsa una diversa cultura indigena all’anno. E per ogni sciamano e comunità che viene a mancare l’umanità tutta perde per sempre la loro conoscenza delle proprietà utili di specie vegetali di quegli ecosistemi.
BIODIVERSITA’ E CIBO
Componente importante della biodiversità sono anche le specie domestiche, animali e vegetali, che rappresentano un enorme patrimonio per l’agricoltura e l’allevamento, da migliaia di anni. Delle 3213 specie domestiche ben 1000 sono a rischio estinzione ed è estremamente difficile poter ricreare l’assetto genetico di una razza quando è estinta. Ma, come ha sottolineato il professor Carrada, l’addomesticamento è sempre reciproco tra l’uomo e le specie vegetali e animali. Il grano o il riso, per esempio, addomesticati, a loro volta hanno condizionato in modo determinante la vita delle popolazioni che da essi dipendono per nutrirsi. E c’è da ricordare sempre che un terzo dei cibi della dieta umana dipende dagli insetti impollinatori e per la gran parte dalle api.
BIODIVERSITA’ MARINA
Della biodiversità a mare si ha ancora una scarsa conoscenza, giacchè è solo dal 1947 che l’uomo ha iniziato ad esplorare il mare profondo e, dunque, a conoscere i suoi habitat e le specie che li popolano. Con costi altissimi per la ricerca a grandi profondità, secondi solo a quelli delle missioni spaziali.
La differenza tra l’ecosistema terrestre e quello marino è stata ben sintetizzata da Carrada.
L’ecosistema terrestre è condizionato dalla gravità, che impone agli organismi di investire molto nel loro materiale strutturale (legno per i vegetali e ossa per gli animali) e che comporta un elevatissimo costo energetico per il loro movimento. Perciò il materiale predominante sono i carboidrati: si tratta di una ecologia a carboidrati caratterizzata da un elevato accumulo di energia e da un basso accrescimento.
L’ecosistema marino è un bacino amniotico in cui si riscontra una ridotta presenza di materiale strutturale (perché gli organismi non devono essere sostenuti da tronchi o scheletri) e un basso costo energetico, perché il movimento richiede un decimo dell’energia a terra. Perciò il materiale organico predominante è di proteine: si tratta di una ecologia di proteine, caratterizzata da un basso accumulo di energia e da un rapido accrescimento. Per le specie, questo si traduce in un alto numero di generazioni per gli organismi di piccola taglia e nell’accrescimento corporeo per organismi di grossa taglia, al fine di ridurre per quanto possibile il rischio di essere predati.
Così, nell’ecosistema terrestre le strutture sono durature, il substrato è sempre bidimensionale e persistente, gli organismi hanno crescita lenta e vita lunga e le comunità sono elementi del paesaggio. Di contro, nell’ecosistema marino le strutture sono labili, l’idrografia (l’acqua) è tridimensionale e variabile (non ci facciamo mai il bagno nella stessa acqua), gli organismi hanno crescita rapida e vita breve e le comunità sono effimere. LA TERRA RICORDA, L’ACQUA DIMENTICA.
LA BIODIVERSITA’ NEL NOSTRO MARE: LE SPECIE ALIENE
Alcune si sono stabilite nel nostro mare già da qualche decennio, altre vi stanno appena facendo la loro comparsa, sempre più numerose per effetto dell’incremento del traffico marittimo e dei collegamenti con gli oceani e il Mar Rosso, da cui per la maggior parte giungono. Sono le cosiddette specie aliene sia vegetali sia animali, a cui ha dedicato il suo intervento il ricercatore e straordinario fotografo Guido Villani, che con un ricco corredo di immagini ha illustrato caratteristiche e comportamenti di alcune delle creature “aliene” più interessanti tra le tante che popolano il golfo di Napoli e il Regno di Nettuno.
Ha iniziato dalle varie specie di Caulerpa, alghe verdi che si sono velocemente diffuse, suscitando soprattutto all’inizio, dopo la loro scoperta, grandi preoccupazioni per il loro impatto sulle specie preesistenti e sulla stessa Posidonia. Dalla racemosa dal Mar Rosso, alla taxifolia forse sfuggita dall’Acquario di Monaco, alla prolifera che è l’unica tipica del Mediterraneo. Le Caulerpa producono sostanze chimiche tossiche, le caulerperine, che sono modificate da una specie, il Lobiger serradifalci, un gasteropode detto anche lumaca di mare che se ne nutre. Come sembra che siano responsabili dell’indurimento alla cottura dei saraghi maggiori che la mangiano. E poi, tra le alghe, ormi da oltre cinquant’anni, crescono sulle scogliere vicino alla superficie del mare rigogliosi ciuffi di alghe rosse di origine australiana.
Sono un centinaio le specie ittiche “aliene” nel Mediterraneo, ormai. Tra loro, i barracuda, molto più grandi e aggressivi delle aluzze nostrane, diffusi sulle secche compreso il Banco d’Ischia e alle Formiche di Vivara.
Numerosi sono gli “alieni” tra i molluschi e i nudibranchi. Tra i primi, la lepre di mare di cui è arrivata da poco da Suez una varietà molto più grande di quella autoctona, tossica e senza predatori, da cui sono stati isolati dei principi chimici medicamentosi, uno dei quali si sta usando per la cura del Covid; tra i secondi, la Godiva quadricolor dall’Oceano Indiano, che appena nata è pelagica, dunque si sposta nella colonna d’acqua, mentre dopo la metamorfosi diventa bentonica e vive sul substrato. E poi vari crostacei: colorati granchietti di origine tropicale e il grande e molto aggressivo granchio blu, che non ha competitori e si riproduce molto velocemente. Di grande impatto visivo, di colori vivaci e delle più varie forme, gli ammassi di migliaia di uova di molluschi tropicali oggi presenti nel nostro mare. Che poco a poco stanno diventando “nostre”, così come è accaduto per tante altre specie animali o vegetali che nel tempo sono entrate nel Mediterraneo, colonizzandolo e diventandone autoctone. Equilibri in continuo divenire per una sempre più ricca biodiversità.