Ho consigliato a Riccardo Nencini di organizzare un incontro, una grande “Assemblea” di tutti i Socialisti della “riserva”, quelli come me: senza nessuna ambizione di revanche, né di svolgere ancora qualche ruolo (abbiamo avuto già molto: dal Partito e dalla vita) ma solo per trasmettere qualche Valore, per aiutare a “rammendare” una Storia, che troppi hanno contribuito a sfilacciare.
E per dire, con un pizzico di orgoglio, che quelli che pensarono di costruire il PD “fondendo”, molto a freddo, la cultura comunista e quella democristiana, e fecero a meno di quella Socialista – per la damnatio memoriae - hanno fallito. Se, invece di fuggire, di scindersi, di accapigliarsi, di odiarsi, pensassero di recuperare su errori personali e collettivi, se pensassero a “fare” Politica, quella alta, che è l’Unica, (la Politica o è Alta o non è!) forse si potrebbe ancora costruire un “Partito, fattore di Ordine e di Progresso”. Nencini, che ha il merito di mantenere in vita un Partito minuscolo, ma che si chiama Partito Socialista Italiano, ha la possibilità di contribuire a piantare un “seme”. Molti di noi ci starebbero: per aiutare la Politica ed il Partito. Nel segno del Socialismo. Quello senza aggettivi, quello saldamente ancorato al Partito del Socialismo Europeo.
Franco Iacono, ex-eurodeputato del PSI
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Ho già avuto modo di dichiarare che io sono diventato “socialista” per caso.
In un libro di William Somerset Maugham – credo “il filo del rasoio”, una lettura giovanile verso i 16-17 anni – con la mia mania di leggere con attenzione e di sottolineare con la matita ciò che mi colpiva trovai scritto che “gli uomini non sono solo loro stessi. Sono l’ambiente in cui sono nati, i giochi che hanno fatto da bambini, i libri che hanno letto, il Dio nel quale hanno creduto. E sono diventati, quello che sono diventati, per effetto di tutte queste circostanze” (cito a memoria).
Se non ci fosse stata la “Concentrazione Democratica” a Casamicciola nelle elezioni amministrative del 1964 non sarei mai diventato un socialista. Se non avessi avuto in quel primo anno delle medie nell’anno scolastico 1960/61 la prof.ssa Angiola Maggi, la prima moglie del prof. Edoardo Malagoli, che mi insegnò il valore della Libertà e quello della Laicità probabilmente non avrei fatto della passione politica e civile la ragione più forte della mia vita.
Fin da ragazzino ho conosciuto la Libertà di pensiero e di azione e da ragazzino – i primi tempi con terrore – il valore della Laicità nel senso di dividere lo Stato dalla Chiesa e di sviluppare un “liberalismo” CONTRO il potere clericale. Questa “laicità” come valore assoluto, unica certezza, si è rafforzata dalle letture e dagli studi successivi e dall’ascolto delle conferenze del prof. Edoardo Malagoli. Ma questa “libertà di pensare ”non poteva non essere unita dalla “libertà di sopravvivere” e da qui la ricerca che dura da oltre 50 anni di coniugare la “Libertà” con l’“uguaglianza economica”.
Studiare la Storia d’Italia, il suo Risorgimento, eppoi lo “Stato liberale”, il fascismo, la Resistenza, l’avvento della Repubblica e la sua “Costituzione Programmatica”, gli studi economici e politici, mi costringevano e lo fanno ancora continuamente a cercare una “Terza Via” tra lo sfrenato “liberismo” – cioè la legge durissima della domanda e dell’offerta di Adam Smith ovunque, anche sulla carne umana, in un “mercato libero” – e la collettivizzazione della ricchezza nelle mani di un apparato di un sol partito chiamato “comunista” realizzata per la prima volta nella storia in Russia nel 1917 e durata circa 70 anni.
Ricordo le discussioni di sera in Piazza Marina con il prof. Peppino Gamboni. Era del ‘23. Insegnante elementare ma di grande cultura. Conosceva ed insegnava tedesco e francese con “corsi privati” di allievi. Era socialista di “Nenni”. Non so come lo sia diventato in un paesello senza alcuna tradizione operaia. Credo che sia stato Lui a proporre negli anni 60’ di “trasformare la Concentrazione Democratica nel PSI”. Di sera in Piazza Marina nel suo “Maggiolino” le discussioni erano “ ideologiche”. “Libertà sì ma che senso ha se ti muori di fame? Alla libertà ci devi mettere una giustizia sociale. Anzi. La giustizia sociale viene prima”. Ma se io ponevo prima la Libertà? “Allora tu non sei un Socialista”.
Il dilemma se fossi o meno “Socialista” mi ha perseguitato per almeno vent’anni. Ma oltre questo c’era la realtà locale dove si viveva e c’erano i comportamenti individuali che cominciavo a rimarcare perché avevo cominciato a fare il “giornalista locale”.
Poiché nella “Concentrazione” c’erano tutti coloro che stavano contro la DC locale era un progetto immane tentare di farli diventare tutti “Compagni”.In fondo il PD non era ed è una “Concentrazione” con dentro il tutto ed il niente o forse il poco di Sinistra.
Così alle discussioni della Teoria – nella sezione PSI mi chiamavano “Suslov” – seguiva la Pratica. E molto spesso i comportamenti dei “socialisti” erano identici a quelli dei “democristiani”.Ideologia e Pratica erano anche le discussioni con Gino Barbieri in quegli anni ‘70: stesse passioni, stesse posizioni ma Gino molto più intransigente sui fatti di costume. Gino aderiva al PSDI il partito di Saragat. Stavo un passo da andare con lui quando nel 1974 mettemmo il busto di Giacono Matteotti in Piazza Marina (per fortuna c’è ancora!). Gino in quell’anno mi portò a Napoli a conoscere un consigliere regionale del PSDI, Filippo Caria, al quale feci un intervista per il futuro dell’Ente Valorizzazione Ischia scaduto nel 1972 il cui futuro spettava per competenza alla Regione. Ricordo che Caria, avvocato calabrese trasferitosi a Napoli da giovane, aveva un circolo come sede della sua corrente che si chiamava “Democrazia Socialista”. Proprio al centro della piccola sala c’era una bandiera con una spada fiammeggiante: il simbolo del Partito d’Azione.
“Quello è stato il mio primo partito, quello che è stato cioè che voglio: il liberalsocialismo” mi disse Filippo Caria. Cominciai da quel giorno a cercare la mia Identità nel Partito d’Azione. Questo piccolo partito di persone che volevano coniugare Giustizia e Libertà durò solo 5 anni: dal 1942 al 1947 “dissolvendosi” poi con i suoi aderenti nel PSI, nel PSDI e nel PRI e qualcuno anche nel PCI. Sono stati uomini importanti come Francesco De Martino, Riccardo Lombardi, Ugo La Malfa, Vittorio Foa. Questi “azionisti” sono stati una specie di “ebrei erranti” della sinistra.
Questo ricordo di Filippo Caria mi è venuto alla penna cercando di capire le vicende della “trasformazione” del nuovo PD con la scissione a sinistra ed il suo cambiamento genetico. Nessuno di quella generazione di Caria credeva alla “fusione a freddo”. Leggendo una bella biografia di Filippo Caria scritta dal suo amico Ciro Raia nel 2014
Il biografo ricorda l’incontro con Caria ormai quasi novantenne nella sua casa di Posillipo piena di libri e “quasi un museo dove c’era il pezzo più pregiato che Filippo Caria mostra con gli occhi lucidi: una vecchia bandiera rossa di “Giustizia e Libertà”.
Piangeva a 90 anni e dopo 70 anni di vita politica per un sogno di un non ancora ventenne!!!
Caria trova la forza di dichiarare che non crede nel PD perché è talmente difficile coniugare il liberalismo con il socialismo senza i comunisti che è ridicolo pensare di unire i postdemocristiani con i postcomunisti!. Ha avuto ragione. Sul sogno della gioventù e sulla considerazione della vecchiaia. Ma la Storia è atroce: riproporre oggi il Partito d’Azione o il Partito Socialista Italiano è fuori dai Tempi.
Bisognerebbe lavorare ad una “ Democrazia Socialista” come chiama la sua “corrente” il “dissidente” del PD governatore della Toscana Enrico Rossi. Ma il termine “socialista” è talmente fuori moda che anche la sinistra che esce dal PD non osa chiamarsi “Socialista”.
Ed allora? Non ho soluzioni e non sono favorevole a riunioni di combattenti e reduci della conclusa e tragica storia del PSI o di quella del PdA.
Mi resta la commozione di Filippo e la sua amarezza per una spada fra le fiamme scomparsa nelle menti e nei cuori dei politici dell’unica sinistra possibile.