“Ma allora ci vai così?” chiese Amelia sistemando la grossa stella dorata sulla punta dell’albero, “Sì” rispose, e si guardò gli stivali, altissimi. “Hai detto di essere in ritardo e che avresti dovuto correre…” riprese Amelia allontanandosi un poco per ammirare l’opera, “lo so” disse “ ma sono abituata” . “ Io devo andare a prendere altre palline rosse, scendiamo insieme?” chiese Amelia cercando con gli occhi la borsa in mezzo a quella confusione e avvolgendosi attorno al collo la lunghissima sciarpa, “no, no… sto scappando…” e uscì di corsa lasciando la porta aperta. Chiamò l’ascensore più per senso del dovere che per fiducia: guasto.
Si precipitò giù per le scale e si rese conto che davvero sfidava la sorte correndo su quei tacchi.
Fuori il pomeriggio era frizzante ed il cielo sereno imbruniva lontano. Le luminarie accese brillavano come perline di mille collane e l’altoparlante in cima al semaforo dell’incrocio, diffondeva senza tregua il suo jingle bells; il brusio delle voci conferiva alla strada, di solito sonnolenta e tranquilla, un’allegra aria di festa.
“Certo, non vorrei incontrare qualche collega o peggio ancora il primario…” pensava arrancando trafelata “ma poi, in fondo, che c’è di male? Con quello che passa l’università ci faccio la birra! Altro che campare! E poi, mica disonoro l’ordine… “ continuava a rimuginare correndo. Cercava di scorgere nelle vetrine che velocemente superava, qualche parte di sé, ma con tutti quegli addobbi la cosa sembrava impossibile, decise di procedere per gradi: “capelli…” pensò con un occhio alla prima vetrina “… a posto!”, “cappotto…” controllò a quella successiva “… a posto!”, “borsa… a posto!”, “pantaloni… a posto!” , “stivali…” oramai era arrivata, “ma che cavolo sto facendo?” pensò d’un tratto mettendosi a ridere entrando … ed indossò il suo costume da Babbo Natale.