A Fausto Malcovati. Il pescatore s'inoltra nell'oltremarino via dalle coperte stese sul balcone, l'autunno sferza i colli con un mare diverso da quello che la deserta spiaggia frusta.
Dalla balaustra mia moglie e la mia bambina
guardano lontano, adocchiando il pianoforte
di una vela o un pallone aerostatico -
colpo smorzato di campana.
All'isola come variante del fato,
impensabile come bilancio del cammino,
si addice soltanto lo scirocco. Ma
neppure a noi è vietato
sbattere le imposte. E la corrente
che sparpaglia le carte è il segno
- sbrigati a voltarti! -
che qui non siamo soli.
Il guscio tenuto insieme con la calce,
che salva dall'impeto della fronte,
del sale, del vetusto martelletto,
rivela tre tuorli all'imbrunire.
Attorcendo i monogrammi delle buganvillee,
con il loro alfabeto mascherando
la sua vergogna, l'esigua terra
si vendica dello spazio con il verde.
Persone - poche, e sentendo "tu"
si induriscono i tratti, quasi
il linguaggio, a guisa di lente,
separasse il paesaggio dai volti.
E più volentieri che verso il continente,
nel sentire "a casa" la mano tende il dito
in direzione della montagna
dove crollano e crescono mondi.
Siamo qui in tre, e scommetto
che quanto vediamo insieme è tre volte
più senza fissa dimora e più azzurro
di ciò a cui Enea guardava.
IOSIF BRODSKIJ 1993