Come ex dipendente CAREMAR e come appartenente alla USCLAC-UNCDiM (Unione Nazionale Comandanti e Direttori di Macchina), intendo offrire degli spunti di riflessione nel dibattito in corso, esprimendo in primo luogo ampie riserve sul processo di privatizzazione della CAREMAR ed in particolare sulla procedura adottata, nonché sulle ragioni di una bancarotta annunciata.
Si ritiene che la privatizzazione al 100% di questa società, oltre a produrre effetti pregiudizievoli sui livelli occupazionali per la forte quota di precariato in atto, genera pesanti ricadute sul diritto alla mobilità e continuità territoriale delle comunità isolane interessate. Viceversa, una gestione completamente pubblica o quanto meno al 51% e aperta al partenariato privato per il restante 49% - anche al fine di contrastare i cartelli e monopoli in atto nel Golfo di Napoli - consentirebbe il mantenimento di regole trasparenti nella dinamica concorrenziale e una continuità territoriale a tariffe controllate e orari accessibili.
Si esprimono altresì riserve sulla procedura adottata dalla Giunta Regionale per le seguenti ragioni:
1. In quanto società di trasporto pubblico locale, per gli effetti referendari, giusta recente pronuncia della Corte Costituzionale n. 199/2012, avrebbe dovuto essere bloccata ogni ipotesi di privatizzazione in atto. D’altra parte, la stessa Comunità Europea nella Decisione sia pure riformata del 2004, affermava che “(150)”..la breve durata delle traversate e la frequenza delle corse consentono di paragonare il traffico di questi collegamenti marittimi a una rete di trasporto terrestre perturbano”.
2. La Delibera Giunta Regionale n. 444 del 9.8.2011 e relativo Decreto Dirigenziale dell’AGC 14 n. 202 del 12.7.2012 di cui alla procedura ristretta di privatizzazione della CAREMAR, sono in contrasto sia con il contenuto dell’Accordo di Programma Stato Regioni del 3 novembre 2009 il quale consentiva la possibilità di società a capitale misto pubblico privato, sia con la diversa volontà espressa dal Consiglio Regionale con la creazione della CoReMa (Compagnia Regionale Marittima spa) e di cui alla Legge Regionale n. 1/2009 (Finanziaria). In proposito giova ricordare che gli Atti di indirizzo del Consiglio Regionale, in particolare laddove riguardano materie regolamentari finanziarie, sono vincolanti per la Giunta Regionale, ancorchè Organo autonomo esecutivo. D’altra parte, va ricordato che l’art. 19-ter del Decreto 135 del 25.9.2009, di cui alla legge di conversione n. 166/2009 ed alla quale si richiamano gli organi esecutivi della Regione, sancisce che le procedure di privatizzazione “possono riguardare sia l’affidamento dei servizi marittimi sia l’apertura del capitale ad un socio privato”, ovviamente a condizione che la scelta del socio privato avvenisse ad evidenza pubblica e senza discriminazioni.
In definitiva, nel ricordare che l’Unione Europea non ha mai chiesto la “privatizzazione”, bensì la “liberalizzazione”, come Unione Sindacale chiediamo il blocco del processo di privatizzazione in atto ed il varo della COREMA, con capitale pubblico privato rispettivamente al 51 e 49%, così come deliberato dal Consiglio Regionale e richiesto dai Comuni delle isole del Golfo.In subordine, si chiede la creazione di una società in house, aperta alla partecipazione degli altri Enti Locali Territoriali, che vada a gestire dei servizi minimi atti a garantire – a tariffe controllate – corse lavorative, scolastiche, approvvigionamenti, trasporto N.U, ecc. e nel contempo, assicurare la necessaria continuità territoriale. Infine, con le dovute garanzie occupazionali, mettere a gara e affidare le restanti linee con contratti di servizio all’armamento privato.
LA CAREMAR PAGA COLPE ANCHE NON SUE - SVENDITA DEL PATRIMONIO A causa di una distorta rappresentazione mediatica, nonché di una contingente quanto effettiva crisi economica, prossima alla bancarotta, la CAREMAR è stata rappresentata, ben oltre il dovuto, come un carrozzone mangiasoldi, senza tener conto dell’entità e qualità del servizio sociale svolto. In realtà la CAREMAR sconta colpe ed eredita colpe di cattiva gestione non sempre sue e come O.S. abbiamo già avuto modo di spiegare all’esimio Assessore Vetrella quanto negli ultimi anni – nonostante enormi recuperi di produttività, anche con forti riduzioni del personale dipendente e forzature contrattuali - i bilanci CAREMAR siano stati “appesantiti” di oneri impropri, indebitamenti a breve presso banche, ecc.. Al di là del servizio sociale reso ed al netto di sperperi che pure ci sono stati, vorremmo solo ricordare ad esempio che nel Bilancio 2005 vi sono stati addirittura dei dividendi per gli azionisti. Anche i bilanci del triennio 2006-2008 (dichiarazione A.D. avv. Capalbo in IV commiss. Regione in data 13.07.2010) sono stati chiusi in utili. Cosa è successo nel giro di tre anni per portare la CAREMAR alla bancarotta? Abbiamo motivo di ritenere che le ragioni del declino sino all’odierna situazione pre-fallimentare, possono così riassumersi:
1. Imposizione da parte casa madre Tirrenia di personale dirigente contemporaneamente nel Consiglio di Amministrazione Caremar e al tempo stesso dirigenti della stessa Tirrenia, i quali - con una serie di dubbie operazioni che non stiamo qui ad elencare – hanno appesantito il bilancio CAREMAR. Pensiamo ad esempio all’inutile Ufficio paghe centralizzato a Genova, al transito del corrispettivo delle tranche economiche della Convenzione attraverso Tirrenia e poi trasferiti a goccia alla Caremar e di cui gli 8 milioni di € di credito vantato da Tirrenia rappresentano un eloquente esempio;
2. Gli enormi ritardi del Governo italiano nel trasferimento delle compensazioni economiche di cui alle convenzioni in essere;
3. Appesantimento ulteriore del bilancio Caremar, dovuto alla imposizione da parte della Regione Campania – in un momento di tragica congiuntura economica della stessa – di corse aggiuntive fuori convenzione, senza contabilità separata ed in assenza di adeguati strumenti deliberativi, esponendo ulteriormente la CAREMAR a possibili sanzioni europee. Inoltre, in base all’accordo Stato – Regione, quest’ultima avrebbe dovuto garantire risorse di bilancio proprie per accompagnare l’eventuale processo di privatizzazione, laddove preferito ad una società pubblico-privato.
L’insieme di queste colpe proprie ed improprie e l’ulteriore appesantimento, connesso al nuovo regime IVA ed all’aumento del combustibile, hanno costretto la CAREMAR ad indebitamenti a breve presso banche, determinando l’odierno stato pre-fallimentare. A ciò si aggiunge una evidente svendita del patrimonio CAREMAR, dovuta ad una sottostima (capitale sociale 5 milioni e 400 mila euro) del suo valore economico reale che si evidenzia anche nell’odierna privatizzazione e messa a gara, senza per altro operare, in via preventiva, un aumento di capitale in funzione appunto del valore reale (minimo 20 milioni di euro). Si è proceduto a fissare l’accesso alla gara per soli 6 milioni di € a fronte dei quali chi vince la gara versa 6 milioni, ne riceve 20 all’anno di accompagnamento per la durata del contratto, ne introita minimo altri 20-25 milioni dalla bigliettazione, oltre al credito Tirrenia di 8 milioni. Alla luce di tanto, si ritiene che l’aver fissato l’accessibilità alla gara con un capitale di soli 6 milioni di euro, sia stato un atto di leggerezza. Infatti, si pensi per un attimo che a vincere la gara sia qualcuno che non ha solidità finanziaria alle spalle (non patrimoniale s’intende) che gli permetta una pronta liquidità, si corre il rischio di sospensione di tutto o parte del servizio. Ad ogni modo, per valutare appieno il patrimonio CAREMAR si tenga conto che una nave tipo “DRIADE” è assicurata contro la “perdita totale” per ben 1,2 milioni di € che, moltiplicato quattro navi già fanno 4, 8 milioni di €, a cui sommare il corrispettivo di una discreta assicurazione aggiuntiva. Inoltre, a tali somme devono aggiungersi i due traghetti veloci (HSC) che, essendo di più recente costruzione e abilitati a navigazione superiore di tipo “B”, sono assicurati per ben 8 milioni di €, senza contare il valore degli aliscafi. Ciò posto, è verosimile e congruo un capitale sociale di soli 5 milioni e 400 mila euro? Di converso, non è dato al momento conoscere l’entità debitoria, ne gli oneri derivanti dal contenzioso con i dipendenti per circa 150 cause , di cui ben 66 riguardanti il rapporto di lavoro di almeno 100 dipendenti che hanno ottenuto il tempo indeterminato in sede giudiziaria e che quantificato, non appare poi tanto elevato da scoraggiare eventuali acquirienti. D’altronde, anche una parte del contenzioso derivante dalle inchieste della Commissione Europea in quanto la Commissione medesima (Sentenza Tribunale europeo 04.03.2009) non ha motivato le accuse e quindi i presunti “aiuto di Stato” risultano non provati: rimane pertanto quanto derivante dall’inchiesta afferente il periodo successivo. Conseguentemente, non ci deve poi meravigliare che poi partecipino in 10 al capezzale Caremar per giocarsene le vesti!
POSSIBILE BANCAROTTA FRAUDOLENTA. Alla luce di tutto quanto sopra esposto, ovvero dei ritardi governativi nel trasferimento delle compensazioni statali, della probabile inesigibilità del credito Tirrenia di 8 milioni di € a causa della scelta commissariale sbagliata da parte governativa, dell’appesantimento dell’imposizione di corse aggiuntive regionali, mancato accompagnamento economico da parte regionale, emergono molteplici estremi di BANCAROTTA FRAUDOLENTA, penalmente perseguibili. Senza contare l’aggravante delle possibili residue sanzioni europee a colpa di inadempienze e scelte sbagliate a livello governativo e regionale. Ad ogni modo, la presenza degli estremi di “Bancarotta fraudolenta” sono stati denunciati già in sede di audizione della IV Commissione del Consiglio Regionale dall’On.le DE FLAVIIS, componente della stessa, in data 28 giugno 2011.
COSTO DEL LAVORO E RECUPERO DI PRODUTTIVITA’In ordine alle ventilate richieste di ridurre il costo del lavoro, come sindacato, si intende ricordare che i lavoratori CAREMAR hanno offerto in questi ultimi anni ampi recuperi di produttività. Per lo spazio ristretto a disposizione, volendo per maggiore comprensione trasporre in chiave schematica i suddetti recuperi diluiti negli ultimi anni, questi possono così riassumersi:
Contrazione personale + aumenti contrattuali contenuti + mancata indicizzazione contrattazione integrativa + sovraccarico lavorativo del personale oltre i limiti contrattuali (aud. Avv. Capalbo 13.7.2010 e contenuto lettera Dir. Gen. Mintras. 3.7.2012) = RECUPERO DI PRODUTTIVITA’ a favore esclusivo della Società.
Per meglio comprendere, si pensi alla consistenza del personale dipendente CAREMAR al 31.12.1997 pari a 469 unità, progressivamente scesa negli anni, ad esempio 331 unità (di cui 55 marittimi a tempo determinato) nel 2008, fino a raggiungere quota 326 nel 2010 di cui 276 con rapporto di lavoro continuativo e ben 124 unità “stagionali”, ovvero “precari”, non tenendo conto che, invero, il fabbisogno reale sarebbe stato ben maggiore (dati a conoscenza di questa commissione - aud.ne 13.07.2010), al netto del sovraffaticamento del personale ben oltre i limiti contrattuali e di legge (vedi lettera 03.07.2012 Dir. Gen. Ministero Infr./Trasp.). Attualmente, i marittimi dipendenti Caremar si aggirano a quota 230, compreso il personale a tempo determinato (stagionale e turno generale).Ciò posto, nel rigettare ogni tentativo di “spezzatino” e svendita della CAREMAR, si ritiene che i lavoratori abbiano già dato in termini di costo del lavoro e, unitamente alle comunità isolane, non debbano pagare colpe improprie. Cionondimeno, come Unioni Sindacali ci si dichiara disponibili a valutare una proposta complessiva, possibilmente con la salvaguardia di un “minimo” di pubblico, e garanzie idonee alla salvaguardia dei livelli occupazionali e salariali che però non debbano essere rimessi in discussione a breve termine. Per chi vuole “vedere” (Corte dei Conti, Regione, ecc.), i dati riportati possono essere da tutti reperibili on line.