Ischia News ed Eventi - Intervista all'architetto Federico Spagnulo, Premio PIDA alla Carriera 2018

Intervista all'architetto Federico Spagnulo, Premio PIDA alla Carriera 2018

Architettura
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Un nuovo albergo nel centro di Firenze, in un palazzo storico (Portinari-Salviati) del '400, già con una sua riconoscibilità in una città dall'identità forte e definita. Un albergo a Dubai da realizzare ex novo e da vestire di originalità. Sono questi gli ultimi progetti che vedono impegnato l'architetto Federico Spagnulo, fondatore della Spagnulo & Partners che opera a livello internazionale nell'architettura d'interni di strutture di particolare valore.

E' a lui che quest'anno è andato il Premio PIDA - Premio Internazionale Ischia di Architettura - alla Carriera. "Quando l'ho saputo, sono rimasto sorpreso perchè era la certificazione che ormai ho una certa età", commenta ironico all'inizio dell'intervista davanti al mare splendente di fine estate. Poi aggiunge subito, serio: "Ciò che più mi colpisce e mi rende orgoglioso di questo premio è la passione che ho notato attorno a questa iniziativa, da parte degli architetti che la organizzano, delle istituzioni e mi pare della stessa comunità. Questa tensione è cosa rara e dà più valore a un premio sentito". Ed è ancora la parola passione che sceglie per definire il rapporto con il suo mestiere. Come conferma la sua narrazione delle esperienze vissute sul campo, per ogni lavoro portato a buon fine dall'Inghilterra agli Stati Uniti, dall'Italia al Marocco, fino al prossimo impegno negli Emirati.

Questa edizione del PIDA ha come filo conduttore la ricostruzione dopo un terremoto. Che ruolo ha la sicurezza nella progettazione e realizzazione di un albergo?
"E' una domanda che riguarda gli ingegneri strutturisti, gli architetti e le varie professionalità che in modo coordinato realizzano l'opera. La sicurezza è un elemento fondativo di ogni aspetto del funzionamento di una macchina estremamente complessa quale è un albergo, che rientra tra le architetture difficili come gli ospedali. Dovendo tener conto che è vissuto da tante persone, clienti e lavoratori, che c'è bisogno di differenziare i flussi degli alimenti come della biancheria, che servono ascensori doppi, che le normative impongono limiti e regole ben precise, la progettazione di un hotel si confronta con enormi complicazioni. Ma noi non siamo arredatori, ma architetti abituati per formazione a lavorare con dei vincoli culturali e il problema tecnico da risolvere impone una dialettica che fa bene a tutti".

Qual è il tema principale con cui ci si confronta nella progettazione di una struttura turistica?
"Certamente lo spazio. Si tratta di edifici dove si vive per un periodo limitato, dunque la temporaneità della fruizione incide sulle scelte progettuali nella definizione degli spazi. Lo spazio di una camera va disegnato in modo rigoroso, puntando a renderlo riconoscibile in tempi brevissimi. Per questo noi utilizziamo molto i filtri tra la camera e il bagno o la cabina armadio, perchè riconoscere come familiare lo spazio di un hotel è un elemento di comfort, che contribuisce al benessere della persona. E' importante progettare spazi puliti nella loro composizione e struttura, il che non vuol dire che si tratti di spazi semplici, anzi".

Le innovazioni tecnologiche, la domotica come si inseriscono in questo approccio?
"Dal punto di vista progettuale sono un fattore devastante per la complessità dei problemi che pongono. E, d'altra parte, proprio per la temporaneità della fruizione, l'iperscelta non agevola, ma complica la vita all'ospite. E poi quando si lavora, come spesso in Italia, in edifici storici c'è da fare i conti con pratiche amministrative che di solito sono affidate a studi specializzati, ma che richiedono anche un impegno consapevole nella ricerca di soluzioni condivise, che è una delle sfide del nostro lavoro".

A proposito di edifici storici, come vi rapportate ai vincoli che vi gravano, quanto condizionano la vostra libertà di scelta?
"E' sempre una sfida culturale di riuscire a ritagliarsi degli spazi di libertà tra i vincoli amministrativi, quelli tecnologici e anche tra le esigenze dei committenti. E comunque, ogni hotel fa storia a sé, non credo allo stesso hotel a Ischia e a Milano. Ogni albergo deve avere la sua identità. Se si lavora in un edificio storico, bisogna tener conto dell'identità preesistente e trovare la chiave per valorizzarla in modo particolare e nuovo, come nel caso del palazzo di Firenze in cui abbiamo lavorato. Se si tratta di un edificio nuovo, come nel caso di Dubai, bisogna pensare a dargli un'identità, a vestirlo nel modo giusto".

In che modo ci si rapporta all'identità e alle peculiarità dei luoghi?
"I luoghi interagiscono in modo profondo con gli edifici esistenti. Perciò per il nostro studio è fondamentale non avere una identità stilistica, anzi proprio questo è il nostro stile, l'elemento che connota il nostro approccio culturale. Abbiamo progettato un resort e spa a Marrakesch in Marocco e proprio rapportandosi alla grande cultura decorativa del luogo è nata una esperienza meravigliosa. Proprio l'eterogeneità delle situazioni crea occasioni utili di confronto e dialogo. Ci vuole una cultura dell'understatement nel rapportarsi alle varie realtà. L'ascolto è fondamentale come il dialogo per trovare delle soluzioni condivise. Proprio il dialogo, a mio avviso, è l'approccio metodologico ai luoghi. E comunque l'autoreferenzialità fa male al progetto".

E il rapporto con i committenti fino a che punto vincola e magari condiziona?
"Rientra nella sfida di ritagliarsi degli spazi di libertà. Ci sono catene che hanno linee guida da seguire anche per l'identità dei loro alberghi. Ma l'elemento decorativo usato in modo smaliziato, per esempio, può servire ad interagire positivamente con il committente".

Per lei qual è la sfida nuova da affrontare nella sua professione?
"Sto cercando di interagire con professionalità diverse, nella ricerca sul materiali per esempio. Per farlo meglio hai bisogno di artisti, perchè l'architettura non è arte. E' stata bellissima l'esperienza di collaborare con un grande musicista ora scomparso, Daniele Lombardi, per la realizzazione di un innovativo tessuto di rame. Il rame è il metallo delle corde degli strumenti, da lì è nata l'idea di coinvolgerlo. E' bastato vedere le note e i segni grafici stupendi dei suoi spartiti per farli diventare l'elemento decorativo di quel tessuto con cui poi abbiamo realizzato molte cose. Mi auguro di riuscire a costruire un approccio con un committente che mi segua su questa strada".

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