Ho nostalgia per la “prima Repubblica”, quella che va dal 1948 al 1992 con la legge elettorale della proporzionale pura, della miriade di partiti e partitini, dei governi che duravano pochi mesi sempre alla ricerca di nuove alleanze. La “prima Repubblica” era delineata dalla Costituzione del 1948 con un sistema parlamentare costituito da due Camere con gli stessi poteri e con un’ampia autonomia locale basata su tre livelli di potere (Comune, Provincia e Regione). Quella prima Repubblica cadde sotto la montagna della corruzione di “tangentopoli” e nell’illustrare quel quinquennio 1978-1993 Indro Montanelli della sua “Storia d’Italia” lo titola “gli anni di fango” dopo “gli anni di piombo” che vanno dal 1965 al 1978. Da allora abbiamo da vent’anni una “seconda Repubblica” fatta con nuove leggi elettorali dai nomi mostruosi e dagli effetti devastanti con una “Costituzione materiale” che ha fatto perdere solennità alla Costituzione del 1948.
Con troppa leggerezza, forse presi dall’emotività, nel 1992 si distrusse il sistema dei partiti che avevano costruito la Repubblica. Sotto il fuoco di tangentopoli scomparve dopo 100 anni il Partito Socialista Italiano, la Democrazia Cristiana si sciolse e dalle sue ceneri rinacque il Partito Popolare con lo sguardo a sinistra mentre chi gravitava a destra si chiamò Cristiano Democratico. Scomparvero anche il Partito Liberale ed il Partito Repubblicano ed i socialdemocratici saragattiani.
Il Partito Comunista Italiano – l’unico partito che si era salvato da tangentopoli – si trasformava in Partito dei Democratici di Sinistra (PDS) anche per la caduta del muro di Berlino nel 1989 ed il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Così il più forte partito comunista dell’Occidente passava da una chiara indicazione semantica – “comunista”– ad una generica denominazione – “sinistra” perché il termine “socialista” non era più spendibile in quanto legato alla corruzione ed alla degenerazione della “partitocrazia”.
Così scomparvero i partiti tradizionali. Eppure quei partiti attingevano la loro ragion d’essere nella Costituzione che all’art. 49 indicava che “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Ricordo le lezioni di Diritto Pubblico del prof. Cuomo alla Facoltà di Economia e Commercio nella Napoli degli anni ‘70. Quella sottolineatura fondamentale del “metodo democratico” irrinunciabile e categorico. Scomparvero in un baleno le sezioni locali di quei partiti. Nelle sezioni si formavano i dirigenti per mandarli al Comune, alla Provincia, alla Regione ed al Parlamento. Nelle sezioni si discutevano i problemi locali e nazionali in modo da mandare nelle assemblee elettive i più preparati che dovevano esprimere le linee politiche della sezione guidata dal segretario, dal consiglio direttivo eletto da una assemblea di iscritti. Non funzionava tutto a dovere nelle sezioni ma almeno si aveva la possibilità di una “lotta politica”– interna ed esterna – che dava identità poi alla lista di candidati per il Comune, la Provincia, la Regione ed il Parlamento.
Dopo il 1992 sulla scia del movimento referendario di Mario Segni che fu – come dire – un desiderio di “democrazia diretta” rispetto a quella “indiretta” sulla quale era impostata la Costituzione nacquero nuovi partiti e soprattutto ci fu la “discesa in campo” di Silvio Berlusconi, il magnate delle televisioni private, che rivoluzionò la politica “de-ideologizzata” definendo tutto ciò che non era “liberista” e deturpando il termine “liberale” assurdamente “comunista” mentre il comunismo veniva sconfitto dalla Storia e questo suo “movimento” si chiamava semplicemente “Forza Italia” senza più una denominazione “partitica”. Così anche gli anti Berlusconi hanno dovuto dare nomi generici ai loro nuovi partiti ed il paradosso è stato che gli ex-comunisti e gli ex-democristiani che s’erano combattuti antiteticamente per 50 anni si sono definiti semplicemente “democratici” come se fossero diventati improvvisamente americani di Kennedy.
Ma questi nuovi partiti – in un clima mondiale di ricorso storico liberista – hanno finito per essere ideologicamente “due destre”, come li definiva Marco Revelli, e non sono riusciti a mettere radici tradizionali nelle realtà locali. Le realtà locali sono state governate da lobby economiche con “uomini soli al comando” come novelli Cesari attorniati da piccoli cesari o da plauditores fino a perdere qualsiasi identità. Il cosiddetto “caularone” al Comune di Ischia cioè il PD e Forza Italia con uno stesso candidato-sindaco sostenuto e mascherato da una miriade di “liste civiche” è staso esteso con la stessa logica e la stessa impostazione a Forio e quindi a Casamicciola.
La distruzione dei partiti della prima Repubblica ha determinato nei nostri Comuni la rinascita delle liste civiche che non solo non hanno omogeneità politica ma non hanno neanche un bavaglio programmatico discusso non occasionalmente ma periodicamente ed incessantemente nelle sezioni così l’eletto – sindaco o consigliere – non si sente legato ad una organizzazione permanente come era la sezione ed una volta eletto può fare quello che vuole dovendo rispondere solo ai suoi personali elettori.
Credo che bisogna ricostruire i partiti, rilanciare la vera e continua passione politica,rilanciare il ruolo fondamentale del Comune nel sistema democratico delle Autonomie Locali. Il Comune non è un “condominio”. E’ chiamato a gestire servizi ed a progettare lo sviluppo soprattutto in tempi di crisi come questi. E’ tempo di una Terza Repubblica.
E’ un messaggio rivolto soprattutto ai giovani perché l’avvenire è il loro.