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Riforma elettorale: chi pensa agli enti locali?

Charles de Gaulle

Economia
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Che la nostra democrazia repubblicana sia malata lo dicono tutti e da molto tempo. Da molto tempo, per lo meno da 40 anni, prima ancora che la corruzione arrivasse a vette altissima culminate nel 1992 con lo scandalo di “tangentopoli” che causò la distruzione dei 5 partiti governativi, la DC,il PSI, il PSDI,il PLI ed il PRI, risultò chiaro che un sistema con due Camere con identici poteri chiamato “bicameralismo perfetto” non poteva essere compatibile per una efficienza amministrativa in linea con una economia industrializzata.

I Costituenti nel 1946 scrissero una Costituzione tutta impostata sulla “democrazia indiretta” attraverso rappresentanti del popolo. Una “democrazia indiretta” estesissima che avrebbe dovuto impedire l’arrivo di un altro “uomo della provvidenza” cioè una dittatura. Il potere democratico delineato dalla Costituzione non doveva essere esclusivo di un Governo o di un Parlamento o di un Partito. Il Parlamento - fonte del potere legislativo e controllo dell’esecutivo – era diviso in due rami: la Camera dei deputati con 630 membri ed il Senato della Repubblica con 315 membri. Il Senato – si insegnava nel Diritto Costituzionale o Pubblico – era “parzialmente” elettivo: gli ex presidenti della Repubblica erano senatori a vita e lo stesso presidente in carica poteva nominare 5 senatori che avessero illustrato la Patria per “altissimi meriti”. Il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga portò all’estremo la nomina dei senatori a vita sostenendo che ogni presidente ne potesse nominare 5 e non che 5 era il numero massimo.

Camera e Senato avevano ed hanno ancora gli stessi poteri. Una legge per essere approvata deve essere votata sia dalla Camera che dal Senato così il Governo deve avere la fiducia sia della Camera che del Senato. La Costituzione italiana non prevede una “sfiducia costruttiva” come la Carta tedesca. Non c’è una “rete protettiva” per il Governo in carica. Senza la fiducia dei due rami del Parlamento un Governo deve dimettersi e non importa se non c’è una soluzione. Il Parlamento deve trovarla ed il Presidente della Repubblica deve nominare una “personalità politica” con l’incarico di formare un Governo che abbia la fiducia delle due Camere.

Il “parlamentarismo” italiano previsto dalla Carta del 1948 è sostanzialmente copiato da quello francese della Costituzione della IV Repubblica che durò dal 1946 fino al 1958 quando fu richiamato al potere il generale Charles de Gaulle per la crisi dell’”Algerie francaise” e come prima cosa cambiò il modello di Repubblica passando ad un “semipresidenzialismo” con una nuova Costituzione che fu redatta in sei mesi da una commissione presidenziale ed approvata direttamente dal popolo con un “Referendum popolare deliberativo” per iniziativa del capo dello Stato e senza passare per una approvazione da parte dell’Assemblea Nazionale e del Senato.

Trovo molte analogie tra la democrazia repubblicana italiana, tra la sua “malattia”, con quella della IV Repubblica francese.

Dopo tangentopoli abbiamo anche noi usato nel linguaggio corrente o politichese il termine “Seconda Repubblica” “copiando” la numerazione francese perché abbiamo cambiato legge elettorale e con le leggi elettorali abbiamo pensato di cambiare il modello di Repubblica senza modifiche costituzionali.

Anche i francesi pensarono di cambiare il modello di Repubblica parlamentare con le leggi elettorali. Alfred Cobban nella sua “Storia di Francia dal 1715 al 1965”(Grazanti-1967) racconta con precisione . La IV Repubblica aveva una “legge elettorale truffa mirante ad escludere dal potere sia i comunisti che i gollisti con un sistema assai complicato”. Cadevano i governi con faciltà e Paul Reynaud dichiarò che “La Francia era il malato d’Europa”. Nonostante questa instabilità politica la Francia cresceva dal punto di vista economico e contribuiva a far nascere il Mercato Comune Europeo. Dal 1947 al 1954 la Francia ha 15 Governi. Se la Storia si potesse fare sui “se” si potrebbe dire che la IV Repubblica non sarebbe caduta senza il pericolo della guerra civile per l’”algerie francaise”.

In Italia abbiamo una Repubblica Parlamentare che il cavaliere Silvio Berlusconi ha tentato di trasformare in “semipresidenziale” in vent’anni senza modificare la Costituzione ma con riforme “ordinarie” come quella di indicare il nome sul partito tanto da dire che “il Presidente del Consiglio in Italia è eletto dal popolo”. Abbiamo tentato, i nuovi partiti hanno tentato, di assicurare più stabilità al Governo cambiando per ben tre volte in vent’anni la legge elettorale.

Per circa 50 anni abbiamo votato con la proporzionale pura che assicurava la massima rappresentanza popolare. Poi abbiamo sperimentato il maggioritario a doppio turno, il mattarellum ed infine la porcata di Calderoli che “nomina” i parlamentari escludendo la scelta del cittadino-elettorale con le preferenze. La Corte Costituzionale ha decretato che il “porcellum” è incostituzionale.

Così i capi dei due maggiori partiti italiani che dispongono di circa il 70% dei parlamentari e che non sono nemmeno deputati o senatori (Renzi del PD è sindaco di Firenze e Berlusconi di Forza Italia è stato dichiarato per sentenza passata in giudicata decaduto da senatore) decidono di far approvare una nuova legge elettorale che non permette comunque l’introduzione delle preferenze; decidono anche che occorre “modificare” il bicameralismo perfetto trasformando il Senato nella “Camera delle Regioni” senza il potere di far cadere il Governo.

Non credo che queste riforme guariranno la malattia della democrazia repubblicana italiana ma alcuni commentatori politici dicono che è un inizio. Ma i francesi cambiarono il modello di Repubblica in sei mesi non in sessanta anni. La V Repubblica di de Gaulle dura dal 1958 anche con 12 modifiche e con due presidenti socialisti. E’ ben salda e nessuno propone di cambiarla.

Ma Renzi e Berlusconi, padroni dei due più grandi partiti, non hanno affrontato il tema della modifica delle leggi elettorali degli enti locali. Anche la democrazia degli enti locali è fortemente malata. Sui territori sono scarsamente rappresentati i partiti. Nei territori comandano i “cesari locali” con un vasto sistema di clientele o conoscenze. Così abbiamo Comuni che eleggono il sindaco con un sistema ed altri con un altro ed abbiamo istituito a livello locale il “presidenzialismo” che non si è voluto a livello centrale. Il “presidenzialismo locale” ha trasformato i sindaci in “podestà” e marginalizzato il ruolo decidente del Consiglio Comunale. Votiamo alla Regione con un altro sistema elettorale e voteremo all’europee addirittura con un altro sistema.

Questa varietà di sistemi elettorali rafforza o indebolisce la partecipazione politica? Contribuisce ad estendere o a ridurre la democrazia politica? Chi si può avvicinare dalla società civile alla politica con questi sistemi elettorali?

Domande che solo i fatti potranno fornire risposte. E’ certo che la III Repubblica italiana è ancora lontano e che la “Repubblica delle Autonomie” è lontanissima.