Conto corrente in rosso: la banca può notificare al cliente il decreto ingiuntivo ma serve la certificazione di conformità dell’estratto conto alle scritture contabili.
La banca può chiedere l’emissione del decreto ingiuntivo nei confronti del cliente debitore sulla base del solo estratto del conto corrente dal quale risulta il saldo debitorio.
È quanto confermato da una recente sentenza del Tribunale di Perugia [1].
Nei rapporti di conto corrente bancario, sono esclusivamente gli estratti conto i documenti capaci di dimostrare, salvo prova contraria, la sussistenza del credito vantato dalla banca nei confronti del correntista e del fideiussore.
L’estratto conto funzionale, infatti, certifica le movimentazioni debitorie e creditorie intervenute dall’ultimo saldo, con le condizioni attive e passive applicate dalla banca ed è pertanto sufficiente a fondare il decreto ingiuntivo.
La legge prevede, ai fini dell’ammissibilità della richiesta di decreto ingiuntivo, la necessità che il credito si fondi su prova scritta (per esempio fatture, contratti, scritture private, esttratti autentici delle scrtture contabili ecc.).
L’estratto conto costituisce sicuramente una prova scritta idonea al ricorso per decreto ingiuntivo anche perché ciò è espressamente previsto dal Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia. Vi è infatti un’apposita norma [2] che prevede la possibilità per la Banca d’Italia e le banche di chiedere il decreto ingiuntivo anche in base all’estratto conto, certificato conforme alle scritture contabili da uno dei dirigenti della banca interessata, il quale deve altresì dichiarare che il credito è vero e liquido.
Alla banca che agisce con decreto ingiuntivo basta provare la fonte (negoziale o legale) del proprio diritto di credito ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre è il debitore ad essere gravato dell’onere della prova dei fatti estintivi, impeditivi o modificativi del credito.
Dunque, a fronte delle risultanze degli estratti conto, il correntista può sempre fornire la prova contraria opponendosi al decreto ingiuntivo, ma deve appunto dimostrare che il credito si è estinto (per esempio per avvenuto versamento delle somme) o comunque non coincide con quello indicato dalla banca.
note
[1] Trib. Perugia sent. n. 1302/2016.
[2] Art. 50, D.Lgs. n. 385/1993.
Dove buttare l’olio di fritture?
L’olio utilizzato per la frittura non si può buttare né dentro il lavandino della cucina, né nello scarico del gabinetto, costituendo un rifiuto pericoloso non facilmente smaltibile.
Chissà quante sono le famiglie che, dopo aver fritto i cibi, buttano l’olio residuo nel lavandino o nello scarico del bagno. In poche però sanno che si tratta di un illecito: la legge vieta di smaltire l’olio delle fritture nei tubi delle fogne. Si tratta di un rifiuto pericoloso di cui ci si deve sbarazzare seguendo apposite procedure, diverse a seconda che si sia un’azienda (un ristorante, una pizzeria, una paninoteca) o un privato (la famiglia che usa l’olio per la cucina di tutti i giorni). Ma vediamo subito dove buttare l’olio di fritture e cerchiamo di capire come comportarsi.
Perché l’olio fritto è pericoloso?
Intanto si tratta di un liquido che raggiunge temperature altissime e potrebbe, in prima battuta, danneggiare le stesse tubature dell’appartamento o del condominio. Quantomeno bisognerebbe avere l’accortezza di farlo raffreddare, anche per evitare che possa provocare ustioni a chi lo travasa nel recipiente per lo smaltimento.
In ogni caso l’olio fritto non è biodegradabile e non è organico, quindi se disperso in acqua forma un velo dello spessore che impedisce ai raggi solari di penetrare causando danni all’ambiente. Senza contare che potrebbe rendere l’acqua non potabile, perché forma una pellicola sulla falda acquifera.
Come smaltire l’olio delle fritture: la famiglia
La famiglia deve raccogliere “l’olio esausto” – ossia quello utilizzato per le fritture e non più utilizzabile – in appositi contenitori da portare nelle isole ecologiche di cui le città sono dotate.
Eventualmente, si può chiedere al Comune dove si trovi la più vicina. Alcuni distributori di benzina e supermercati provvedono al ritiro gratuito dell’olio esausto.
È anche vietato lasciare l’olio accanto ai cassonetti della spazzatura, trattandosi di un rifiuto pericoloso non smaltibile.
Come smaltire l’olio da cucina: ristoranti, pizzerie e altri locali
L’obbligo di non smaltire l’olio fritto nella fognatura vale a maggior ragione per le ditte che svolgono attività di somministrazione di alimenti, bevande e ristorazione. Per queste, infatti, l’entità del rifiuto è sicuramente superiore a quella di una famiglia media.
Se destinati al recupero, gli oli di frittura non possono essere assimilati ai rifiuti urbani perché l’assimilazione vale solo ai fini dello smaltimento in discarica. In ogni caso, trattandosi di rifiuti liquidi, non sono ammessi in discarica.
Il Conoe (Consorzio nazionale di raccolta e trattamento oli e grassi vegetali e animali esausti – www.consorzioconoe.it), attraverso un’apposita rete di raccolta, provvede al ritiro di questo particolare rifiuto liquido. Ristoranti, alberghi, rosticcerie, pizzerie e qualsiasi attività (anche fiere e sagre) da cui si generano oli di frittura, li devono raccogliere in contenitori dedicati al recupero/smaltimento e contattare un trasportatore autorizzato affidandogli il ritiro.
La legge [1] prevede la sanzione amministrativa pecuniaria da 270 a 1.550 euro a carico di chi, in ragione della propria attività professionale, detenga oli e grassi vegetali e animali esausti e non li conferisca al Conoe (direttamente o mediante consegna a soggetti incaricati dai consorzio).
Nel caso dell’impresa artigiana, questa dovrà annotare gli oli prodotti e quelli conferiti sul registro di carico e scarico. Invece, se si tratta di una impresa commerciale tale obbligo non vige. In ogni caso, sarà necessario compilare, datare e firmare il formulario.
In definitiva, la pizzeria, il ristorante, la paninoteca o qualsiasi altro locale può optare per una di queste due soluzioni:
- accumulare rifiuti senza limiti di quantità, da conferire entro un periodo massimo di 3 mesi;
- mantenere in deposito quantità limitate di rifiuti (non più di 30 metri cubi) per un periodo di tempo maggiore, ma comunque non superiore a un anno.
note
[1] Art. 256 co. 6, d.lgs. n. 152/2006 – codice dell’ambiente.
E-mail truffa su avvisi di pagamento di Equitalia
Continuano le e-mail truffa su falsi avvisi di pagamento per indurre i contribuenti a fornire informazioni riservate
Con un Comunicato Stampa della scorsa settimana Equitalia ha informato i contribuenti che in questi giorni continuano ad arrivare segnalazioni di messaggi di posta elettronica con i seguenti mittenti di seguito elencati. Equitalia ah ribadito di essere assolutamente estranea all’invio di questi messaggi e raccomanda nuovamente di non tenere conto della e-mail ricevuta e di eliminarla senza scaricare alcun allegato. Inoltre, Equitalia ha avuto conferma dal Cnaipic (Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche), l’unità specializzata della Polizia Postale, che in questi giorni è in atto una nuova campagna di phishing, cioè di tentativi di truffa informatica architettati per entrare illecitamente in possesso di informazioni riservate.
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- fatture-equitalia@fatture- gruppoequitalia.it,
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