Per il 52% in futuro il potere sarà nelle mani di chi deterrà la maggiore quantità di dati personali. E il 54% chiede una normativa più severa
Roma, 7 ottobre 2013 – Quasi tutti gli italiani (il 96,2%) considerano inviolabile il diritto alla riservatezza dei propri dati personali e pensano che la privacy sia un elemento imprescindibile dell’identità, pur a fronte dei grandi cambiamenti dovuti alla diffusione di Internet e dei media digitali. L’88,4% degli italiani è consapevole che i grandi operatori del web, come Google e Facebook, possiedono gigantesche banche dati sugli utenti. La maggioranza pensa che i dati personali sono un patrimonio che può essere sfruttato a scopi commerciali (72,3%) o politici (60,5%). Il 60,7% ritiene quindi che il possesso di un gran numero di dati rappresenta un enorme valore economico. E il 51,6% è convinto che in futuro il potere sarà nelle mani di chi deterrà il maggior numero di dati personali. È quanto emerge da una ricerca del Censis che ha fatto il punto su opinioni, comportamenti e aspettative degli italiani rispetto alla privacy.
Cresce la diffidenza. Siamo entrati nell’«era biomediatica», in cui si è diffusa la pratica della trascrizione virtuale e della condivisione telematica delle biografie personali attraverso i social network. Come cambia il concetto di privacy in un’epoca in cui il primato del soggetto si traduce nell’esibizione denudata del sé digitale e la prassi della condivisione online ha sancito apparentemente la preminenza dello «sharing» sul diritto alla riservatezza? Sono in molti oggi a lanciare grida d’allarme per denunciare la scomparsa della privacy a causa della possibilità dei big player della rete di tracciare e registrare le nostre attività online quotidiane, protocollare sentimenti e reti di relazioni attraverso i social network, individuare la nostra posizione grazie ai sistemi di geolocalizzazione. Più di otto italiani su dieci sono convinti che su Internet sia meglio non lasciare tracce (l’83,6%), pensano che fornire i propri dati personali sul web sia pericoloso perché espone al rischio di truffe (l’82,4%), temono che molti siti web estorcano i dati personali senza che se ne accorgano (l’83,3%). Secondo il 76,8% anche usare la carta di credito per effettuare acquisti online è rischioso.
Timori reali e percepiti. Tra gli utenti di Internet, il 93% teme che la propria privacy possa essere violata online e il 32% lamenta di avere effettivamente subito danni, ma nella maggior parte dei casi si tratta della ricezione di materiale pubblicitario indesiderato. Gli utenti di Internet che ritengono di avere uno scarso controllo o nessun controllo sui propri dati personali (possibilità di modificarli o chiedere la cancellazione successivamente) varia dal 61% con riferimento ai siti web degli enti pubblici al 74% rispetto ai siti delle aziende commerciali.
Ancora scarsa dimestichezza con gli strumenti per tutelarsi. Gli atteggiamenti prevalenti sembrano improntati all’apprensione, cui corrisponde però un deficit di attenzione. Stenta ancora a radicarsi una matura consapevolezza collettiva. La capacità di controllo degli strumenti disponibili per difendere la privacy appare modesta. A fronte di una percezione del rischio molto elevata, soltanto una minoranza di utenti di Internet è effettivamente in grado di adottare una qualche forma di gestione attiva della privacy. Solo il 40,8% di chi naviga in rete usa almeno una delle misure fondamentali per la salvaguardia della propria identità digitale (limitazione dei cookies, personalizzazione delle impostazioni di visibilità dei social network, navigazione anonima). Il 36,7% non ricorre invece a nessuno strumento, mentre il 22,5% si limita a forme passive di autotutela, che a volte implicano la rinuncia a ottenere un servizio via web. Il 40% degli italiani è disposto ad autorizzare il trattamento dei propri dati personali soltanto ai soggetti di cui si fida, sulla base della condivisione delle finalità di utilizzo. Quasi il 30% sostiene invece di non essere propenso a farlo a nessuna condizione e soltanto il 17,3%, per contro, si dice pronto ad autorizzarne l’impiego senza particolari difficoltà.
Inasprire la normativa. La legislazione vigente in materia di privacy è ritenuta soddisfacente soltanto dal 7,5% degli italiani connessi in rete, mentre è pari al 54% la quota di chi giudica necessaria una normativa più severa, anche mediante l’introduzione di sanzioni più dure in presenza di violazioni e la possibilità di rimuovere dal web eventuali contenuti sgraditi. Ma il 24,5% è scettico, perché pensa che oggi sia sempre più difficile garantire la privacy, in quanto in rete non si distingue più tra pubblico e privato. Ma solo il 14% appare rinunciatario, sostenendo addirittura che sia inutile, perché con l’avvento dei social network la privacy non può più essere considerata un valore in sé. Particolare favore riscuote l’ipotesi di introdurre nell’ordinamento giuridico il «diritto all’oblio». I cittadini sembrano non avere dubbi in merito al fatto che, quando ne ricorrano le condizioni, sia legittimo richiedere l’eliminazione dal web di opinioni, informazioni e fotografie del passato che in qualche modo potrebbero ledere la reputazione personale. Oltre il 70% degli italiani condivide l’affermazione secondo cui ognuno ha il diritto di essere dimenticato: le informazioni personali sul nostro passato potenzialmente negative o imbarazzanti dovrebbero poter essere cancellate dalla rete quando non sono più asservite al diritto di cronaca.
Questi sono i principali risultati della ricerca del Censis «Il valore della privacy nell’epoca della personalizzazione dei media», presentata oggi a Roma da Giuseppe Roma, Direttore Generale del Censis, e discussa da Luca De Biase, editor d’innovazione de «Il Sole 24 Ore», Giuseppe De Rita, Presidente del Censis, e Antonello Soro, Presidente dell'Autorità Garante per la protezione dei dati personali.