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PD, i nuovi “compagni”

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Ci sono voluti vent’anni – poco più o poco meno – affinché gli eredi politici dei democristiani e dei comunisti aderissero al Partito Socialista Europeo (PSE). La decisione del Partito Democratico di aderire formalmente al PSE è stata adottata dalla direzione del partito tenutasi l’altro giorno a Roma, alla vigilia del congresso continentale dei socialisti europei che si tiene nella

capitale italiana, su proposta del segretario del partito ed anche presidente del consiglio dei ministri, Matteo Renzi, eletto leader dalle primarie con circa il 68% dei voti. Ci sono stati 121 voti a favore, 2 astenuti ed un sol voto contrario. Il voto contrario è stato quello di Beppe Fioroni, 56 anni, ex democristiano ed ex Ministro del Governo Prodi. Ad accelerare questo processo di entrata nel PD nel socialismo europeo è stato lo stesso leader Matteo Renzi che ha solo 38 anni e che ha iniziato la sua attività politica giovanissimo nella Democrazia Cristiana. Ha votato a favore logicamente Massimo D’Alema che ha 64 anni e che ha iniziato l’attività politica nel Partito Comunista Italiano frequentando la scuola di partito alle Frattocchie e diventando “funzionario di partito” e giornalista al quotidiano comunista “L’Unità”. D’Alema – che ha attraversato tutte le fasi della trasformazione del PCI in PDS e poi in DS ed ancora la costituzione del PD – è anche vice presidente del PSE.

E’ strano come una notizia del genere non abbia avuto – a mio parere – il rilievo giusto sulla stampa nazionale. Ed è ancora più incomprensibile come una decisione del genere, forse storica, sia stata adottata dalla direzione del partito, cioè il vertice, senza esser stata discussa ed approvata da quelli che un tempo si chiamavano i “congressi” ed i militanti la “base”. Lo strumento di nuova partecipazione politica detto delle “primarie” si è limitato alla scelta del leader ma non al dibattito sulla impostazione programmatica e sulla stessa identità del partito al tempo postmoderno.

Ritengo paradossale che una adesione al socialismo europeo sia stata promossa da un ex-comunista ed approvata da un ex-democristiano cioè da due esponenti – il primo più anziano ed ormai già posto in pensione e l’altro più giovane ed in piena carriera con una veste di novello Cesare – dei due partiti della cosiddetta Prima Repubblica che si sono ritenuti “alternativi” per oltre 40 anni determinando, per questa loro reciproca pregiudiziale, un arretramento civile dell’Italia e della sua Repubblica facendo nascere un “caso italiano” nella forma di Stato e di lotta politica. I comunisti ed i democristiani erano alternativi non solo a Roma (forse a Roma sostanzialmente poco nelle pratiche di lottizzazione) ma soprattutto nei nostri Comuni dove gli schieramenti politici erano soprattutto dettati dal personalismo.

L’altro paradosso è che a festeggiare questa adesione al PSE non ci fosse nell’assemblea del PD nessun esponente proveniente dai due partiti socialisti della Prima Repubblica e cioè il PSDI ed il PSI. Chissà come avrebbe commentato la scelta dei postcomunisti e dei postdemocristiani Giuseppe Saragat, il leader socialista che nel 1947 si staccò dal PSI di Nenni e dette vita alla “socialdemocrazia” italiana. Chissà cosa avrebbe potuto scrivere nel suo celebre corsivo di prima pagina de “L’Unità” Fortebbraccio al secolo Mario Melloni (1902-1989) che fu ex-democristiano e che aderì al PCI nel 1955, da deputato, perché contrario proprio alla partecipazione dell’Italia ai trattati europei. I bersagli preferiti di Fortebraccio erano proprio i socialdemocratici che il corsivista dileggiava con estrema durezza.

Per 40 anni i comunisti hanno combattuto fino alla distruzione il tentativo della socialdemocrazia ed hanno combattuto perfino il PSI, per oltre vent’anni loro alleato, quando i socialisti avviarono l’incontro di governo con la DC. Se oggi il PD aprisse una sede equipollente a quella che un tempo si chiamava la “sezione” in un nostro Comune non so quale ritratto di padre nobile metterebbe in cornice. De Gasperi insieme a Togliatti? Saragat insieme a Paietta?

Proprio i comunisti fecero fallire con la loro opposizione il più serio tentativo italiano di realizzare un modello di nuova società di “democrazia avanzata” che negli anni che vanno dal 1963 al 1980 si chiamò centro-sinistra con la politica di Programmazione Economica. Ho un ricordo personale di quegli anni. La mia età è la stessa di Massimo D’Alema. Ricordo la derisione dei comunisti verso i socialisti, democratici e liberali, che sul piano locale delle realtà comunali volevano trasferire la Pianificazione Territoriale e la Programmazione Economica. Ricordo il disprezzo dei comunisti verso l’“Internazionale Socialista”– dalla quale è nato il socialismo europeo – ritenuta asservita agli americani tanto che il solo PSDI di Saragat vi aderiva. Il PSI si ritrovò in questa Internazionale a seguito dell’unificazione del 1966 con il PSDI e vi rimase anche dopo la scissione del 1969.

Pietro Nenni che voleva tenere uniti i socialisti nel primo ed unico congresso del PSI-PSDI Unificati che si tenne a Roma nel 1968 propose che il partito assumesse la nuova denominazione di “Partito Socialista Italiano, sezione italiana dell’Internazionale Socialista”.

I comunisti, i socialisti, i socialdemocratici e perfino gli aderenti al piccolo Partito d’Azione, si chiamavano fra di loro “compagni” mentre i democristiani “amici”. Quando mi iscrissi al PSI, alla sezione “Vittoria Nenni” di Casamicciola, ero un adolescente che si riteneva “anticlericale e liberale” e non voleva la “collettivizzazione della società”. Faticai molto a chiamare “compagni” gli altri iscritti, non mi abituai mai a dare del tu a tutti. Ci furono “compagni” ai quali non riuscii mai a dare del tu come era prassi. Volevo una società più giusta e più umana ma non comunista o collettivizzata ed ebbi convinzione che il socialismo era storicamente qualcosa di opposto al comunismo a Berlino vedendo il Muro nel settembre del 1970 quando avevo già 21 anni e stavo studiando l’economia politica. Ma negli anni ‘70 – soprattutto quando fui eletto consigliere comunale di Casamicciola nelle elezioni del 1975 – cominciai a capire l’importanza di chiamarsi “compagni”. Era un modo di testimoniare una Fraternità, di sentirsi Uniti in una stessa Casa perseguendo il medesimo obiettivo civile. Lasciai il PSI nel 1983 perché c’era stata una mutazione genetica dei socialisti ed aderii al Partito Repubblicano Italiano di Spadolini, il più vicino alla Programmazione ed all’“azionismo”, ma i repubblicani non si chiamavano “compagni” e mi sentii a disagio.

C’è una bellissima poesia di Paul Eluard dedicata ad un martire della Resistenza francese che si chiama “Gabriel Péri”. Scrive Eluard: “ci sono parole che fanno vivere e sono parole semplici. La parola calore, la parola fiducia, amore,giustizia e la parola libertà. La parola bambino e la parola gentilezza. E certi nomi di fiori e certi nomi di frutti. La parola coraggio e la parola scoprire. E la parola fratello e la parola compagno…”.

Ecco: compagno era una parola che faceva vivere. Per la mia generazione era una parola che voleva racchiudere l’anelito per un mondo migliore, per una umanità non destinata ad “una sola dimensione” come diceva Marcuse.

Credo che oggi c’è un terribile bisogno di costruire una società migliore, di cercare di coniugare la Libertà con l’Uguaglianza, di rendere concreto il “compromesso storico” che è nei Valori della Costituzione Italiana della Repubblica. Mai come oggi forse c’è bisogno di un “socialismo democratico o liberale o dal volto umano”.

Spero che i militanti del PD ritornino a chiamarsi “compagni” ma nutro dubbi guardandomi in giro nel posto in cui vivo e personalmente cerco un’“Altra Europa” che il PSE non mi pare in grado di voler realizzare né a Roma né ad Ischia.