In un pomeriggio di sole, come ce ne sono di stupendi qui ad Ischia, rapita guardo il mare dal borgo marinaro di Ischia Ponte che si estende sull’Insula Maior, com’era chiamata anticamente. Percepisco un’immagine indimenticabile di un’isola che incanta… Lo sguardo non ha confini. Una barca si allontana all’orizzonte: i colori si confondono , tutto diventa irreale… Qualcuno è al timone, forse lavora, forse si diverte, forse entrambe le cose.
Senza le barche, in passato, non sarebbe stato possibile pescare, commerciare, scoprire nuovi mondi… Chissà quanti reperti antichi di inestimabile valore giacciono ancora nei fondali marini. Intanto, le onde cullano i miei pensieri e la barca scompare perdendosi su rotte lontane. “Dolce mi è naufragar in questo mar”… proprio come lo è stato per i Greci quando, intorno al 770 a. C. , si stabilirono nell’isola d’Ischia. Si è molto discusso sulle vere ragioni che hanno spinto questo popolo in luoghi così a settentrione, anche perché in Eubea c’erano miniere di ferro, più che sufficienti per le esigenze di allora. Dunque, il passato rivela che gran parte di noi isolani discende possibilmente da questi arditi navigatori. Innumerevoli ritrovamenti sono conservati al Museo di Villa Arbusto a Lacco Ameno. In particolare, oltre alla famosa Coppa di Nestore, è esposto il cosiddetto “ Cratere del naufragio”. Si tratta di un vaso che rappresenta il più antico esempio di pittura vascolare presente in Italia. Nell’osservarlo si nota che, sotto alla grande nave capovolta, i marinai nuotano tra i pesci alla ricerca di una via di scampo, mentre uno di loro ha la testa tra le fauci di un enorme pesce. E’ verosimilmente la rappresentazione simbolica di uno squalo. Concludendo, l’autore di questa scena avrà sicuramente attinto dal passo seguente di Omero: “ e intanto loro malgrado, la tempesta li trascina lontani dalle persone care, sul mare ricco di pesci”.