Ho cominciato a fare il giornalista con il piombo della Linetype che componeva gli articoli; la macchina da scrivere Olivetti Lettera 45 che li scriveva; la busta “fuori sacco” per la spedizione postale al giornale; la telefonata in “R” cioè con il costo a carico del giornale o dell’agenzia per la notizia “urgente” dettata agli stenografi con la punteggiatura; la stampa in tipografia a “caldo” con la “zincografia” che preparava i “cliché” per le fotografie; la giornata settimanale a Napoli nella tipografia “Lampo” con il proto Salvarezza ed il compositore De Costanzo sul tavolaccio il quale mi diceva di “stare in mano a’ l’arte”; la scoperta a vent’anni di “Vache e’press”, la più antica tavola calda in Piazza Dante per il pranzetto frugale; l’arrivo del giornale con il traghetto con Franco Conte, il direttore, ed io,il caporedattore, a fare i facchini per la distribuzione;quelle lezioni e quelle discussioni sul giornalismo, la lettura de “Il Mondo” di Arrigo Benedetti e “L’Espresso” di Eugenio Scalfari, “Panorama” di Lamberto Sechi.
Se ami il giornalismo lo impari dai 20 ai 30 anni e per tutto il resto della vita non fai altro che i lavori di ordinaria amministrazione alla casa che ti sei costruito.