Panza d’Ischia, settembre 12
Era un popolo tenace quello dell’isola d’Ischia di contadini e di pescatori. Traeva dalla terra, da una terra fertile che bisognava domare contro la morfologia e la furia degli elementi, tutti i mezzi di sussistenza in una straordinaria “economia autarchica” ed era capace questo popolo, già numeroso nel Medio Evo e nel Rinascimento e sparso in una decina di micro-comunità nei 46 Kmq.
dell’isola più grande dell’arcipelago napoletano il quale arrivava fino a Ponza distante 44 miglia, di fare anche commercio di questa produzione agricola imperniata sul vino con le altre isole-sorelle e soprattutto con il Continente. Ci pensavano i marinai a portare in tutto il Mediterraneo perfino a Marsiglia migliaia e migliaia di botti di vino tratto dai vitigni portati dai greci nell’antichità come il “Biancolella” ed il “Forastera”. Sapeva pescare anche questo popolo in un mare generoso e l’ischitano è stato antesignano di quella che oggi si chiamerebbe la “ flessibilità lavorativa” era cioè capace di svolgere due lavori nello stesso tempo, aveva una “doppia professionalità”. E sapeva fare commercio anche del pesce con la Grande Capitale ,Napoli, ed il suo circondario, Pozzuoli. C’è una produzione letteraria enorme sul popolo dell’isola d’Ischia dei secoli passati di scrittori locali e stranieri che danno conferma ed illustrano con sempre più particolari la considerazione fondamentale di Giuseppe D’Ascia, il più grande storico ischitano del XIX secolo: “c’è il remo e la zappa in ogni famiglia dell’isola d’Ischia”.
Questa economia agricola che ha permesso alla popolazione locale di vivere e che già nel XVII secolo arrivava a circa 20mila abitanti non è scomparsa. Il grande boom del turismo di massa che ha avuto la sua massima espansione negli anni ‘ 70 del ‘900 sembrava aver cancellato l’agricoltura, quella che con espressione felice l’enologo Andrea D’Ambra chiama la “viticoltura eroica” perché il contadino ischitano saliva fino a 700 metri per “terrazzare” un terreno e sapeva lavorare la “pietra verde” che strappava alla roccia, ma la pressione dello sviluppo ha fatto in modo che l’economia turistica dell’isola si qualificasse meglio, che l’offerta magica dei soggiorni “mare-terme-collina-clima” si arricchisse con l’aggiunta di “vino buono-prodotti tipici- cultura e colore locale”.
Così una associazione di volontari civili riuniti nella Pro Loco Panza, questa antichissima frazione del Comune di Forio indicata come “Pansa Vicus” già nel 1590 nella carta di Abramo Ortelio, che ha una popolazione attuale di circa 7 mila abitanti e dove sono localizzate circa 200 attività alberghiere per circa 1800 posti letto e con circa 100 attività commerciali, ha pensato 5 anni fa che occorresse far vedere ai turisti queste antiche e nuove cantine dove ancora oggi si produce il buon vino d’Ischia in modo che fosse noto che Ischia non ha perduto le sue tradizioni ma le conserva e le rinnova; che questo popolo di contadini e pescatori c’è ancora ed è tenace nelle nuove sfide dell’economia moderna come i suoi precursori; tenace anche nei confronti di un sistema istituzionale obsoleto perché l’isola è ancora divisa in sei Comuni che non hanno più senso,ha ancora una morente Azienda di Cura, Soggiorno e Turismo in liquidazione e commissariamento da oltre 30 anni per inefficienza della Regione Campania.
“Abbiamo cinque anni fa con un gruppo di amici che vorrei ricordare – Bruno Seberic, Domenico Miragliuolo, Dante Castaldi, Luciano Trifogli, Mario Guarracino, Alessandro Impagliazzo, Francisco Polito ed il compianto Tommaso Ristoro che fu l’anima di quel gruppo di fondatori – di costituire una associazione di volontariato civile, culturale, turistico, che in assenza delle azioni promozionali del Comune di Forio e dell’Azienda Pubblica per il Turismo, promuovesse il nostro territorio con la sua economia di ieri e di oggi. Così abbiamo dato inizio alle attività della Pro Loco Panza” mi dice Leonardo Piolito, 50 anni, agente di commercio, Presidente della Pro Loco Panza che riceve il cronista nella bella sede posta proprio al centro della cittadina in Piazza San Leonardo dove una graziosa ragazza fornisce informazioni ai turisti che sono italiani, tedeschi,francesi, spagnoli e cechi e russi quasi a testimoniare il mondo globalizzato e l’apertura all’Est europeo.
“Abbiamo circa 200 soci che costituiscono il nostro autofinanziamento ed abbiamo recuperato, con la passione soprattutto del nostro amico “capopopolo” Luigi D’Abbundo, tre sentieri di straordinaria suggestione: quelli del Monte di Panza, di Baia Pelara e delle fumarole di Montecorvo, abbandonati da anni e che invece, recuperati, sono diventati una scoperta per i turisti che avvertono, attraversandoli, il ricordo degli antichi contadini che li percorrevano per attraversare da un capo all’altro la nostra isola” racconta Leonardo che mi illustra anche la più importante iniziativa per settembre: Andar per Cantine, giunta alla quinta edizione.
“E’un itinerario storico e culturale alla scoperta delle antiche e delle nuove cantine dell’isola d’Ischia non solo quelle di Panza ma dell’isola intera, fino a Campagnano sull’altro versante, con una degustazione dei prodotti tipici e con una visita guidata” mi spiega aggiungendo che “tutto è organizzato per l’assistenza al turista con il pulmino e la guida ed abbiamo pensato anche alle serate di incontro con la musica ed il canto. L’iniziativa è sostenuta finanziariamente solo dagli sponsor privati senza i quali non si potrebbe realizzare”.
“La nostra associazione di volontari civili vuole dimostrare che occorre una unità di intenti di tutti gli interessati al movimento turistico ed alla difesa della comunità isolana per migliorare la nostra economia, fare sintesi tra la terra ed il mare, il vecchio ed il nuovo, e presentarlo al turista che resta sempre più ammirato delle bellezze e dell’umanità della nostra isola .Lo scorso anno hanno visitato le cantine circa 2mila persone in soli tre giorni” conclude il Presidente Polito.
Mi è impressa nella mente una osservazione di una contadina del villaggio di Noja, su a Serrara-Fontana, Lucia Iacono figlia di “Ciro mano mozza” (i soprannomi ad Ischia sono più importanti dei cognomi!) che presentandomi con fierezza la sua cantina, che era stata quella di suo padre del quale era ed è orgogliosa “perché lavorava dall’alba al tramonto nei campi” mi disse che la cantina era “la cassaforte di suo padre”.
“La cantina conteneva tutto il patrimonio del contadino: dagli attrezzi al prodotto. Senza quella cassaforte era perduto” mi disse.
Mi mostrò con commozione la vecchia chiave della cantina quasi come la chiave di uno scrigno che apriva un tesoro. Era quello della Memoria e dell’Amore.