E’ stato per tutta la sua lunga vita un comunista concreto e coerente Pasquale Mazzella ed ha dedicato la sua esistenza alla causa dei lavoratori. E’ stato comunista prima di tutto nei suoi comportamenti di vita, nel suo rigore morale, nel suo impegno nel sindacato e cioè l’organizzazione di chi riceve il salario per vivere e che si deve confrontare con il “padrone” che il capitalismo chiama “imprenditore e che punta alla massimizzazione del suo compenso che si chiama “profitto”. E’ stato per mezzo secolo sindacalista dei lavoratori del mare sempre nell’organizzazione CGIL di Di Vittorio; i marittimi del golfo di Napoli che fanno una vita durissima e rischiosa fra le onde ed i venti rischiando spesso la vita ma in ogni caso tornando a casa alla sera stremati dopo dodici o sedici ore di lavoro. Pochi mestieri sono più usuranti del marittimo nel golfo di Napoli.
Pasquale Mazzella per anni ed anni si è battuto affinché tutti i marittimi nel golfo di Napoli sia dell’armamento pubblico sia per quello privato avessero un sol contratto, uguali diritti, uguali doveri. Si è battuto affinché anche gli utenti del mare avessero diritti e doveri; che anche i collegamenti marittimi fossero considerati come una leva fondamentale per lo sviluppo economico e sociale delle isole del Golfo di Napoli.
Tutto il suo impegno da sindacalista è stato speso per un giusto salario del marinaio e per trovare l’equilibrio sociale tra il salario ed il profitto dell’imprenditore ed anche se guardava lontano, se voleva una società più giusta e più umana che solo un socialismo dal colore rosso e non rosa poteva offrire, non perdeva di vista il presente.
E’ stato per oltre un decennio negli anni ‘70 membro del Consiglio Superiore della Marina Mercatile in rappresentanza della Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL) ed ha svolto proprio in quell’organismo una funzione decisiva per l’approvazione della legge n. 169 del 1975 con la quale veniva consacrato nella Legge, per la prima volta, il diritto degli isolani delle isole minori italiane (sono oltre 30), alla “continuità territoriale della Repubblica” cioè al diritto alla mobilità che avevano e che hanno gli isolani in quanto italiani. Come gli italiani del continente avevano le strade gli italiani delle isole avevano diritto alle loro “strade sul mare” per potersi muovere e lavorare ed anche creare sviluppo. Andava -giustamente- molto fiero di questa conquista civile largamente condivisa in tutte le forze politiche democratiche ma lottava affinché questa conquista non fosse una “formalità solenne” ma fosse “praticata” nella concretezza dei provvedimenti di attuazione.
Così sostenne che se la Repubblica doveva come deve assicurare la “continuità territoriale” deve farlo a “prezzo politico” e cioè inferiore al costo di produzione e deve farlo con un “armamento di proprietà pubblica” perché solo il pubblico può trascurare il profitto poiché svolge un servizio e non una speculazione capitalistica.
Dalla 169/75 nacquero le società marittime pubbliche – nel collegamento con le isole partenopee e pontine nacque la CAREMAR - per “assicurare i collegamenti e promuovere lo sviluppo socio-economico delle popolazioni isolane” come recitava la Legge e su questo dettato, sull’autentica interpretazione di questo dettato, Pasquale Mazzella ha combattuto per anni.
Nello stesso tempo si è sempre fatto carico delle condizioni di esercizio dell’impresa capitalistica a mare poiché difendeva sia i marinai che gli isolani e per l’armamento privato ha chiesto uno spazio sussidiario, possibile nell’espansione turistica, ma non sostitutivo del dovere istituzionale della Repubblica.
Anche la competenza trasferita dallo Stato alla Regione non poteva non fondarsi sul principio irrinunciabile della “continuità territoriale”.
Con Lui per anni abbiamo discusso insieme su questi argomenti spesso nei sedili delle navi traghetto nelle ore che il pendolarismo giornaliero tra Ischia e Napoli concedeva a Lui ed a molti di noi. Dobbiamo difendere questo Diritto in un contesto istituzionale cambiato dalle norme dell’Unione Europea che è tale solo se è POLITICA e non solo della finanza speculativa perché non la volevano così l’Europa sia quel “comunista solitario” di Altiero Spinelli che quel “socialista liberale” di Ernesto Rossi redigendo da confinati politici nelle umide baracche della “città confinaria” dell’isoletta di Ventotene nel 1941 il Manifesto per l’Europa Unita.
Fino agli ultimi anni della sua vita si è speso per il sindacato finanche dei pensionati convinto che senza organizzazione per i lavoratori non c’è speranza di miglioramento civile.
Aveva una estrema convinzione della “Responsabilità Istituzionale”. Ogni Ente doveva fare la sua parte ed esercitare il suo ruolo senza demandare ad altri le Responsabilità in un dannoso scaricabarile. Così credeva profondamente in quello che in Diritto Amministrativo si chiama, spesso con abuso, “concerto istituzionale” fra Enti.
Se la Regione assumeva una nuova Responsabilità, un potere trasferito dallo Stato nella logica della “Repubblica delle Autonomie” doveva prendersi non solo l’Onore del Potere ma l’Onere della Gestione del Potere preposto al conseguimento del difficile equilibrio tra “salario” e “profitto”.
Su questo argomento, da “comunista concreto”, mi citò un proverbio cinese che aveva appreso durante la sua prigionia in Cina: “ mettere scarpe altrui significa anche prendere calli altrui”.
Rimproverava alle classi dirigenti della Regione di non volersi prendere “i calli” ma solo “le scarpe” del settore del trasporto marittimo locale.
Ci lascia uno straordinario insegnamento di vita, una strada Maestra tracciata che dobbiamo continuare a percorrere anche e soprattutto in Suo Nome.