Chi ha detto che il cognome non è un bene “tutelabile”? Anzi, tutt’altro. Per cui, se un’azienda registra, come proprio marchio, il cognome dell’imprenditore, tutti i competitors non possono più utilizzarlo, almeno nello stesso settore commerciale.
Così, per esempio, via libera alla duplicazione del nome “Ferrari” se un’azienda opera nel campo automobilistico e l’altra in quello degli spumanti. Infatti, il cognome può ben essere considerato un “marchio forte”, ossia tutelabile anche dalle imitazioni e dai facili accostamenti, nonostante esso costituisca un nome di persona che, potenzialmente, potrebbero avere anche altri soggetti. La tutela giuridica, però, resta confinata allo stesso settore merceologico o in uno strettamente affine. E ciò perché in ambito commerciale il diritto al nome, che pure è fondamentale, incontra una sicura compressione.
È quanto affermato dalla Cassazione con una sentenza di ieri [1].
La Corte ha precisato che integra una scorrettezza professionale la decisione di introdurre nella denominazione sociale il patronimico di uno dei soci, già compreso nel marchio registrato da terzi, quando l’inclusione non risponde a un’esigenza descrittiva rispetto ad attività svolta e prodotti e servizi offerti.
Risultato: la società depredata dal proprio segno distintivo può ottenere l’inibitoria laddove il patronimico può costituire un marchio forte per la sua capacità distintiva, specialmente quando non ha significato nel linguaggio comune né può richiamare in alcun modo l’attività del titolare.
Se dunque il cognome è già stato utilizzato da terzi, che lo hanno regolarmente registrato, l’omonimo che opera nello stesso comparto produttivo non può inserirlo in un marchio complesso: per esempio, aggiungendo al cognome dell’azienda concorrente un altro ancora (nell’esempio precedente “Ferrari Gomme”), ma al massimo vi può aggiungere il suo nome.
[1] Cass. sent. n. 3806/15 del 25.02.2015.