Nei due terremoti del 1881 e 1883 il centro strorico medioevale fu completamente raso al suolo.
Con il sisma del 21 agosto rischia un annientamento urbanistico e sociale.
In un bellissimo dipinto di Attilio Simonetti (1875) ritrovati dai Fratelli Sarnelli, è ritratto l’antichissimo centro storico del Maio, la cittadella medioevale arroccata sulle alture di Casa Nizzola e difesa dal Monte Epomeo che le fa da spalliera verdeggiante con i suoi castagni autoctoni e le querce secolari. Il paese dalle floride terme contava duemilacinquecento anime e si sviluppava sulle alture, spinto da ragioni difensive, ma anche di sopravvivenza, perché al pericolo turchesco si aggiungeva la necessità di coltivare i feracissimi campi da cui traeva sostentamento l’intera comunità montana.
Nel corso dei secoli, contrariamente all’impianto urbano di Lacco Ameno, Ischia e Forio, che si sviluppava lungo la costa e le marine, Casa Nizzola aveva accuratamente evitato l’urbanizzazione del suo selvaggio lungomare, costituito da spiagge deserte e alte falesie sul mare, perché nel suo entroterra erano racchiusi tutti i doni di madre natura: le sorgenti di acqua potabile dell’Ervaniello e di Cava Fontana ; le vigne cariche di grappoli del Campomanno, del Rarone, della Pera; le cantine odorose di mosto, le sorgenti di acqua termale, i legnami delle sue selve, le miniere di allume delle “Caulare”, le esalazioni solforose di Montecito e l’argilla del monte Epomeo.
Dai campi coltivati si ottenevano ortaggi e frutta, ma anche granturco che serviva per confezionare pane nero.
Il centro storico del Maio era situato sugli stessi luoghi di oggi di, con la chiesa di santa Maria Maddalena, come il fondale di una scena teatrale, l’oratorio e la Confraternita di san Severino, la cappella rurale del Purgatorio e a breve distanza il Municipio, La Spezieria (farmacia), l’ufficio postale., la caserma dei carabinieri e diversi negozi alla buona che commerciavano commestibili, oggettini di artigianato, barili e botti di castagno.
Con il trascorrere dei secoli il paese si espanse lungo la via D’Aloisio e raggiunse la valletta di La Rita con le campagne del Pantano e delle Chignole, risalì verso la Sentinella e si attestò sulle alture del Sassolo e Santa Barbara. Nel Settecento Casa Nizzola andò a far parte dell’università del Terzo. Accresciuta per numero di popolazione, fu giocoforza cercare uno sbocco economico che fu indirizzato nello sfruttamento commerciale delle acque termali e del turismo di èlite. Per tale motivo il centro storico si dilatò verso la località dei Bagni, dove sorsero le prime “casupole” o stabilimenti che dir si voglia per le cure termali.
La vita scorreva serena e uniforme; quelli del Maio ostentavano una certa supremazia sui casali rurali dei dintorni, ma i suoi abitanti erano anche quelli che si alzavano alle prime luci dell’alba per raggiungere i terreni e sgobbare fino a sera con le zappe lucide per l’incessante lavoro e le asce affilate per tagliare i “lignammi” di castagno.
Anch’essi diventati muli di montagna, con i garetti muscolosi al posto delle gambe e le spalle forti per il trasporto massacrante sui crinali delle colline. Poi nel 1881 arrivò la prima batosta, improvvisa, micidiale che seminò nel centro storico morti e macerie, ma non riuscì a spianare del tutto il borgo.
Fuggirono e ritornarono, quelli del Maio, per sanare le ferite e riprendere il lavoro, non conoscendo altro che le sudate zolle ricevute in eredità dai loro padri e le case costruite con le loro stesse mani e con le pietre raccolte in montagna. Una sfida impossibile con la natura ? Può darsi, ma anche “necessità, parente stretta della disperazione”, che dalle nostre parti è storia antica, atavica, senza speranza di…archiviazione! Passarono due anni e la botta definitiva arrivò, tremenda, apocalittica. Il Maio fu cancellato dalla carta topografica, insieme alla parrocchia, all’oratorio, alla chiesuola campestre, alle case degli umili, ai terreni, e a qualche “palazzo” di signorotto locale.
Non la facciamo lunga. In capo a pochi anni quelli del Maio, testardi ma avvinghiati alle loro radici, non mollarono di un centimetro. Spalarono le macerie, aggiustarono le “parracine”, coltivarono i campi e rifiutarono le baracche di Genala perché chi è nato in campagna non ha nulla a che vedere col…mare! Fu ricostruito come d’incanto l’antico borgo al Maio, a Montecito, a Santa Barbara, a La Rita, alla Sentinella, al Pantano, alle Chignole, alla Spezieria e all’Arenaria. E con le abitazioni ebbe fiorente vita il commercio, l’agricoltura, l’industria vinicola, quella termale a La Rita e addirittura quella alberghiera a via D’Aloisio.
Una ripresa economico-sociale meravigliosa, ma segnata da un avverso destino, perché, come insegna la storia sismica locale, con il terremoto bisogna conviverci.
Punto e basta. Il 21 agosto 2017 ha segnato uno spartiacque definitivo fra l’amore per il borgo antico (di cui non vi è traccia alcuna) e le nuove “direttive” di sicurezza pubblica. Si accenderà una disputa feroce fra il popolo e l’autorità costituita, perché quelli del Maio sono gente arcigna, dura e volitiva, attaccata ai tralci della vite e al “luogo” inteso come identità singola e collettiva di un popolo.
Filomena Mennella ha 96 anni ed è finita sotto le macerie della sua casa a via D’Aloisio, rimanendo illesa. Volevano portarla via, ma la vegliarda ha imputato i piedi a terra e non ha voluto lasciare i luoghi della sua esistenza:”Andate via, gridava, devo morire nella mia casa!”
Il comitato “Amici del Maio” ha piazzato una grande tenda nell’area dove si ergeva la parrocchia di santa Maria Maddalena, e lì si radunano molti sfollati per consumare i pasti, giocare a carte, dibattere le varie questioni, essere insomma presenti sui luoghi dei “disastri annunciati” (come per Amatrice, Norcia, Accumuli…) rivendicando il diritto all’autodeterminazione. Si ripropone ancora una volta il vecchio dilemma fra una nuova urbanizzazione del centro storico del Maio e sue zone limitrofe, oppure l’abbandono di un’area ad alto rischio sismico (ricorrente epicentro storico), con le conseguenze immaginabili per la socialità, l’economia e i sentimenti di una comunità.
Scelta difficile, non priva di incognite, ma soprattutto di enorme impatto emotivo e di possibili conseguenze psicologiche su chi è costretto –contro la propria volontà- a trasmigrare lontano dalle proprie radici.
Di Gino Barbieri
Gino Barbieri, è scrittore, pubblicista e storico locale, è nato a Casamicciola nel 1941. E’ autore fra gli altri del volume “ Le terme di Casamicciola”( 1985) con una ristampa aggiornata “ Casamicciola e le sue Terme” (2004). E’ Presidente dell’Associazione Culturale “ Cristofaro Mennella”.