“Per circa trent’anni (cioè dal 1943 al 1973 n.d.a.) Il Piano Territoriale Paesistico di Alberto Calza-Bini “è stato rimosso, semplicemente rimosso, non ha avuto un’opposizione formale, non è mai stato annullato. Rimosso dalle coscienze e dalle penne stilografiche, poi a sfera, di soprintendenti, sindaci, architetti”. Lo scrive l’arch. Mario De Cunzio, prima funzionario addetto all’isola d’Ischia e poi soprintendente ai monumenti della Campania negli anni ‘70 e ‘80,nella fondamentale premessa al volume “Le Case di Pietra”del 1991. De Cunzo usa il verbo rimuovere cioè “allontanare dal luogo in cui si trova” o “distogliere da una convinzione o proposito” (Devoto-Oli). Perché questo verbo? Non sarebbe stato più chiaro affermare: la Soprintendenza non lo applicò, i suoi pareri sulle costruzioni furono espressi senza alcun riferimento al piano e furono enormemente “discrezionali”?
Ma l’assessore ai Lavori Pubblici di Casamicciola, Antonio Castagna, non ci ha detto nel 1949 con lo scritto sul numero unico “Ischia, isola verde”che ad Ischia sia per il Piano Calza-Bini sia per le due leggi di vincolo 1047 e 1049 del 1939, tutte in epoca fascista, non si poteva costruire per questa serie di vincoli e le lungaggini burocratiche dei pareri di “uomini posti nelle poltrone burocratiche”? Come sono stati realizzati almeno 23.875 vani “ufficialmente”censiti dal 1951 al 1971 e poi ancora altri 26.842 vani dal 1971 al 1981? Come è stata possibile una tale espansione edilizia in presenza di due leggi di vincolo,almeno, e di un Piano Territoriale Paesistico in vigore?