Sono già passati cinque anni. Il 23 marzo del 2009 era un lunedì. Erano circa le due del pomeriggio. La notizia arrivò da Antonio Pinto senza preamboli: “E’ morto Domenico. Scrivi qualcosa per domani. Penso che dovrai commemorarlo tu”.
Lo ricordai in Chiesa sottolineando il suo ruolo di protagonista nella affermazione della stampa locale nell’isola e concludendo con la convinzione che egli “lascia un segno incancellabile ed irripetibile per Cultura, Passione e Sacrificio nella Storia della nostra isola e nella Storia del giornalismo italiano”.
Avevo misurato i termini come ho sempre fatto nella mia vita professionale: il segno è incancellabile per Cultura, Passione e Sacrificio in ordine di valutazione dell’importanza. Per me Domenico era soprattutto un uomo colto. Era convinto che era necessaria una “destra sociale” contro il “liberismo” ed il “comunismo” ancorata ai valori della Patria. E’ vissuto in un tempo dove era forte la “pregiudiziale antifascista” e dove nasceva una “contestazione” al sistema capitalistico solo da sinistra e da una sinistra estrema. Era un sessantottino all’inverso come se volesse entrare nella Storia all’indietro e si scontrava con i coetanei contestatori di sinistra.
